1-2 novembre. Da: I Quaderni del 1943 di Maria Valtorta

1° novembre 1943[1].

 Dice il Signore Gesù:

«Io sono che ho dato ai miei santi la Sapienza di cui sono possessore assoluto. Sono Io che parlo ai diletti perché spargano la mia Sapienza fra gli uomini. Sono Io che benedico con gratitudine i miei eletti che hanno consumato se stessi per essere portatori della mia Sapienza. Sono Io che li premio perché l’amore alla Sapienza è amore a Dio, non potendovi essere conoscenza della Sapienza e ribellione a Dio. Chi ama la Sapienza ama la sua fonte: ama Dio. Chi ama  Dio conquista il premio.

Voi dunque, che sempre aspirate alla gloria, aspirate a questa gloria vera ed eterna. Lasciate cadere scettri e celebrità della terra e tendete a conquistare la fama e la corona immortale della santità beata. Sforzatevi di meritare la Sapienza e fino dalla terra tutto possederete poiché possederete Iddio, che parlerà in voi, vi guiderà, vi consolerà, vi eleverà, vi farà amici miei e profeti dell’Altissimo. Voi allora capirete, parlerete, vedrete non con i vostri organi e le vostre capacità, ma con la vista e la mente di Colui che è in voi come il Santo dei Santi nel suo tabernacolo vivente.

Sarete, o miei fratelli cari, come era mia Madre quando nel suo seno mi portava e Io le comunicavo i miei movimenti d’amore. Maria, velo preziosissimo e casto al Vivente, al Sapiente, al Santo, già infusa di Sapienza per la sua purità superangelica, fu una  con la Sapienza quando l’Amore la fece Madre della Sapienza incarnata. Né voi siete da meno quando con Me-Eucarestia nel cuore, e col cuore volente vivere di Dio ‑ ecco la condizione essenziale ‑ divenite uni con Me e in Me sapete rimanere anche dopo la consumazione delle Specie, col vostro amore adorante.

Siatemi delle “Marie”. Portate il Cristo in voi. Il mondo ha bisogno, fra tanta scienza inutile, di avere chi comunica la Sapienza vera. E chi mi ha in sé, anzi chi annulla sé in Me, anche se non dice parole, comunica con le sue opere la Sapienza, perché le sue opere testimoniano Dio.

Io poi, per pietà dei ciechi e dei sordi, degli analfabeti dello spirito, do voce e penna nelle mani e sulle labbra di chi scelgo, perché lo Spirito di Dio sia nuovamente udito e si salvino gli sviati e ritrovino la giusta direzione coloro che sono erranti, si rialzino i caduti e confidino in Chi ha nome: Misericordia.

Lo stesso 1° novembre alle 12,30, dopo una anti‑professione di fede di m. c.[2] che mi fa tanto soffrire.

 Dice Gesù:

«A cosa paragoneremo certi poveri disgraziati? A degli infelici maniaci che, mentre c’è fuori il bel sole e presso a loro degli affetti e dei cibi, ricusano di uscire, di nutrirsi, di parlare, e si rimbucano come bestie selvagge nel loro covo, all’oscuro, lasciandosi morire d’inedia.

Sono abissi di errore, di orrore, di odio talora, che vanno colmati con la pazienza, la misericordia, l’amore e il dolore. Pazienza sopportando le loro idee, misericordia avvicinandoli ancora nonostante la ripugnanza che ci dà la lebbra del loro spirito, amore perché l’amore è il vincitore e la medicina più potente di tutte, e dolore perché per dare la Vita e la Luce bisogna morire come fa la lampada che fiammeggia col suo consumarsi e il grano che dà cibo se  muore.

Date queste cose, basta. Le parole sono inutili perché quelle anime sono rintronate da Satana che impedisce che sentano. Occorre prima vincere Satana, e questo si vince colla preghiera e il dolore, non con le discussioni in cui esso è maestro per persuadere alla sua dottrina.

Che tu soffra, è naturale. Ognuna di quelle parole, prima di ferire le mie Carni, sono passate attraverso le tue, perché tu ti sei messa fra il mondo e il Maestro per difendere il tuo Re. È l’ufficio delle vittime. Ma Io su ogni ferita ci metto un bacio e per ognuna ti dico: grazie, Maria, per il tuo amore. Che tu ne sia benedetta.

 Sono le 16 e godo di un raro momento di solitudine.

Alla fatica del sopportare le voci intorno a me, che vorrei vivere udendo solo  la “Voce” che lei[3] sa e che io amo con tutta me stessa, o ricordando quella “Voce”, si è oggi unita la doppia fatica di sentire delle… (la carità di cui mi vengono date così alte istruzioni mi vieta di scrivere la parola che mi viene spontanea) delle, dirò così: parole ignoranti. L’ignoranza spero sia compatita dal buon Dio. E spero che l’ignorante che l’ha così ampiamente professata sia perdonato appunto per la sua ignoranza.

Certo è come se fossi fustigata, tanto ne ho sofferto. Così palesemente che egli ha capito e ha cercato di rimediare portandomi un dolcetto. Come mi era amaro quel dolce intriso dell’offesa al mio Dio Eucaristico! Non potendo, anzi: non volendo parlare, perché sarei stata troppo severa, ho taciuto, ma io credo che parlò il mio viso.

Nel pomeriggio, poi, a Paola[4] ho detto che ho bisogno di silenzio, perché le troppe parole  stancano il mio fisico sfinito. E lei l’ha detto agli altri. Ma non è il fisico che si turba e soffre. È lo spirito che è disturbato. Vorrei poter vivere isolata almeno 18 ore su 24. O per lo meno rimanere con chi mi capisce e conosce e rispetta la terribile, santa, soave esigenza di Dio su me.

Il mio Gesù mi ha consolata, come lei vede, con le parole dette alle 12,30. Ma l’amarezza di certe cose udite e di certe constatazioni fatte in merito allo stato di certe anime, permane.

Ora la sosta di pace cessa e io cesso a mia volta di scrivere.

Meno male che Paola mi dedica una fotografia con queste parole: “Ti voglio bene e voglio dirti grazie perché vivendo accanto a te sento di essere più vicina a Dio”. Meno male! Se lui non lo porterò dove voglio, porto lei. E dato che è giovane, e sarà forse madre di famiglia[5], è bene  che si infonda di Dio.

     Riprendo oggi 2 novembre perché ieri, tra la gente venuta e… la poco piacevole visita inglese[6], non ho più potuto scrivere.

 

Riguardo alle impressioni subite durante a quel penoso quarto d’ora, le dirò[7]  che sono diverse e svariate.

La prima si è che solo pregando mi sentivo sufficientemente calma. Mi pareva impossibile che mentre lo invocavo su me, e su tutti i raccolti presso il mio letto e, con una carità più grande, su tutti gli altri fuggenti per le vie o tremanti nelle case, Egli, il cui Nome è potente, non m’avesse ad ascoltare. Avevo, e l’ho notata tre o quattro volte durante la preghiera, la sensazione che Egli mi abbracciasse e mi facesse capire di esser calma perché ero protetta da Lui.

Nelle mie condizioni così gravi, sarebbe una bugia dire che il mio cuore non ne ha sofferto. Se mi fa impressione un forte rumore, un grido, l’urto di due auto, il vedere  cascare una persona, un alterco, una notizia ecc. ecc., si può ben pensare che cosa avrà risentito il mio cuore fisico da quello sconquassìo. Ma lei ha potuto constatare che, soccorso il cuore con una energica puntura, come morale non era fuori centro.

La seconda è che era dalla mattina, dopo quella professione anticattolica[8], che ero sotto la impressione, meglio detto: la persuasione, che se i nemici fossero venuti in quel giorno, vi sarebbe stato del brutto. E infatti!…

Terza: a cose finite: il sollievo pensando che era passato l’incubo, che da un 20 giorni mi crucciava, di un bombardamento aereo. Glie ne ho accennato a quel sogno al quale volevo applicare il fatto della morte di quei 5 in piazza Mazzini or sono 15 giorni circa[9]. Nel sogno avevo visto cadere proiettili dall’alto su Viareggio e capivo che erano venuti da aerei. Ma mi volevo illudere che tutto fosse accaduto con quel proiettile  caduto corto.

Sarà tutto accaduto ora? Dio lo voglia, perché le confesso che l’idea di morire sepolta viva o straziata in un ospedale non mi va. Accetto le mie 5 malattie e ci sto ad accettarne altre 5, altre 10, con tutti gli strazi, ma chiedo solo d’esser lasciata nella mia casa dove tante cose ha operato per me Gesù e che mi è sacra per Lui, perché datami da Lui e perché in essa sono morti i miei.

Quarta e ultima impressione: di riconoscenza per lei. Ero certa che sarebbe venuto, ma il vederlo venire mi ha commossa e calmata. Non si è mai a sufficienza assolti e benedetti in certi momenti!

In quei giorni che lei era assente, io stavo sempre col cuore sospeso per la tema di qualche incidente mio particolare o di qualche incidente generale. So bene, per esperienza fatta, che medici e sacerdoti è ben difficile averli nei momenti in cui sono più necessari e desiderati. E perciò mi dolevo che lei fosse lontano, perché non c’è che lei che pensi a me.


[1] La scrittrice aggiunge a matita: Cap. 6, dal v. 11 in poi

 

[2] Su una copia dattiloscritta, la scrittrice precisa: mio cugino G. B. (Giuseppe Belfanti, cugino della mamma della scrittrice).

 

[3] Padre Migliorini.

 

[4] Figlia di Giuseppe Belfanti.

 

[5] Paola Belfanti sarà sposa nel 1945 con Giuseppe Cavagnera e avrà una figlia. Ora è vedova e nonna, e risiede a Milano.

 

[6] Il primo bombardamento aereo su Viareggio, avvenuto la sera del 1° novembre 1943.

 

[7] Si rivolge al Padre Migliorini.

 

[8] Vedi la pagina 348.

 

[9] A causa di una esercitazione militare, che si svolgeva sulle Alpi Apuane, un proiettile, che sarebbe dovuto finire in mare, era invece caduto sulla Piazza Mazzini falciando cinque persone.

 

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