26 – 27 dicembre. Da: I Quaderni di Maria Valtorta del 1943

26 dicembre 1943

Dice Maria:

«A molti, già rapiti nelle altezze della mistica, fu concesso di vedere il mio santo Figlio infante, di stringerlo anche al cuore. Ma a pochi fu concesso vedermi mentre rendevo alla sua Umanità le più dolci cure che una madre dona al suo neonato.

È mettere il mio fedele nell’intimità più profonda della nostra Famiglia e della mia vita. È rendervi sempre più facile e perfetto l’amore da dare al mio Gesù, del quale potete ammirare l’umiltà, la delicatezza, la debolezza di neogenito, e ricevere dalla sua bocchina vagente una delle più profonde lezioni di sacrificio e di carità da Lui date durante la sua vita terrena.

Maria, se rifletti, ho percorso a ritroso il cammino delle visioni. In maniera tutta soprannaturale e perciò dissimile da quella che avrebbe seguito un umano, il quale di solito comincia dal più umile per salire al più eccelso, perché la sua poca lena non gli permette il volo a grandi e subite altezze. Io invece, poiché so che ai vostri sensi, per essere affascinati, occorre il grandioso, ho seguito altra via. La mia.

Ho attirato e conquiso la tua attenzione spirituale con visioni di gloriosa bellezza; poi, quando ti ho vista presa e innamorata di me, ti ho istruita e preparata alle più intime conoscenze della Madre tua e alle più profonde lezioni della mia vita e di quella della mia Creatura, alle lezioni-base dell’umiltà, antidoto al veleno di Lucifero che da Adamo in poi tanto vi nuoce e vi devia dalla via di Dio.

Ti sono apparsa[1], per bontà del Figlio mio, portatrice della viva Eucarestia, indi Madre del Salvatore, poscia esaltata in Cielo. E dopo queste silenziose visioni di luce e gioia, che simili a celesti reti ti hanno circuita e portata a me, ti ho ammaestrata. Se la tua anima si fosse ribellata alla dolce rete per pesantezza spirituale, ti avrei lasciata. Ma tu vi ti sei avvolta, facendo di quelle visioni la tua gioia, il tuo desiderio, il tuo sprone al sempre meglio. E allora, dopo la Regina, ti ho mostrato la Mamma. Per consolare te senza più mamma. Per innalzare te alla mia umiltà. Per rapire te nella mia gioia.

Vengo sempre quando è il momento. Ti amavo da sempre. Ma ti ho chiesta a Gesù quando lessi nel pensiero di Dio che presto non avresti avuto più mamma[2]. Egli ha preparato l’incontro e l’unione, che ne sia benedetto! Ed io sono venuta.

Non ho, sul Calvario, preso spiritualmente e collettivamente la mia missione di madre? Come ho preso in Giovanni voi[3], orfani di Cristo, voi, della Chiesa nascente rimasta senza il suo Genitore, così prendo voi quando rimanete orfani di chi vi era padre e madre. All’unione con l’Amore e al contatto col cuore del Figlio, che del mio cuore si nutriva, il cuor mio ha preso l’illimitatezza del cuore di Dio, e vi amo tutti, o orfani della Terra, e sol che voi vogliate vi do il mio braccio per sostegno, la mia spalla per appoggio, il mio seno per riposo, il mio cuore per amarvi.

E se a tutti non è dato, non per mia volontà ma per manchevolezza loro, di sentire il mio abbraccio col senso di una carne ormai resa quasi spirito dall’amore che vi affina, su tutti i figli che piangono perché non hanno più madre io sono presso.

Dillo a coloro che piangono. Di’ loro che credano in me non solo come deificata Regina, ma come vera Donna alla quale non è ignota la materna tenerezza. Di’ che mi chiamino presso il loro pianto col più amato dei nomi, quello che ebbi dal Figlio, dalla sua puerizia alla sua ascensione al Cielo e oltre: “Mamma!”. Io sarò la “mamma”.

Il mio Bambino lo vedi come è bello?! Comprendi perché ormai ogni figurazione non ha più per te luce e valore? Tu vedi la nuda e sublime mia Maternità così come fu, delicata come una rosa nata in un paesaggio nevoso d’inverno, pura come un’alba d’aprile, santa come un grido angelico, umile come doveva per esser quella del Vincitore della Superbia eterna.

Non puoi ritenere quelle parole a te straniere. Potrei anche insegnartele. Ma non voglio farlo. Non le capiresti ugualmente e non servirebbero che alle curiosità scientifiche dei curiosi profanatori del mistero. Serbatene l’armonia nel cuore come il suono luminoso di un rivo di perle. E continua ad essere adoratrice.

Io sono con te.»

 

Subito dopo. Dice Gesù:

«Ricordati che non sarai grande per le contemplazioni e le rivelazioni, ma per il tuo sacrificio.

Le prime te le concede Iddio non per tuo merito ma per sua infinita bontà. Il secondo è fiore del tuo spirito ed è quello che ha merito agli occhi miei. Aumentalo senza considerazioni umane sino al limite delle tue forze fisiche e spirituali. Più ti alzerai e più ti rapirò in alto.

E non temere. E non ti affliggere[4] se l’interno traspare. Anche vedere un rapito in Dio è santificazione per i fratelli. Tu di tuo non mettervi nulla. Non inquinare mai questa polla di vita mistica con elementi umani. E lasciami fare anche in questo.

Non ti dico di più. Bèati in mia Madre.»

 


27 dicembre 1943

ore 1 antimeridiana.

 

Dice l’Apostolo:

«Giovanni al piccolo Giovanni[5]. Dopo il Maestro e la Madre parlo io pure per darti un insegnamento spirituale.

Per essere dei prediletti occorre fare ciò che io ho fatto per ispirazione dello Spirito Santo. Fedeltà assoluta che tutto accoglie senza esitazione e senza discussione. Purezza di spirito, di mente, di carne. Carità eroica.

Talora Dio ci sottopone a prove che altro non sono che saggi dell’oro dell’anima. Siamo destinati a questa dimora che io posseggo presso il mio Dio. Ma qui non entra chi nella sua anima porta un anche minimo amalgama di impurità. Le prove sono quelle che ci spogliano da quanto è in noi di impuro e fanno del nostro spirito un quarzo senza scorie.

La fedeltà ci porta a superare le prove senza che esse incrinino la nostra fede e il nostro amore.

Io ho creduto nel Maestro sempre, ho accettato da Lui tutto sempre, ho voluto ciò che Egli voleva da me prontamente, ho annullato la mia volontà e la mia ragione umana, che ho arse come vittime su un altare, perché io fossi ostia degna del Cristo. Non ho voluto di mio nulla. Tutto ho chiesto al Maestro mio: un nuovo cuore, un nuovo pensiero, un nuovo carattere. Che fosse suo, come il suo, e tutto a servizio suo.

La mia purezza naturale l’ho resa più candida del giglio angelico tuffandola nell’amore per il Maestro mio. Non pesa l’esser angeli quando le nostre ali si riposano sul Cuore di Cristo. E il divenire serafini a cui l’amore non ha più segreti, è naturale conseguenza di coloro che disposano sé all’Amore incarnato. Occorre contrarre queste spirituali nozze, né mai conoscere orrore di mistico adulterio.

La Carità è la salvezza nostra, poiché ci santifica trascinandoci nei suoi sublimi vortici e ci perdona di quanto la carne in noi, contro il volere di noi, commette poiché è ribelle peso che anela al basso mentre lo spirito, già attratto all’alto, anela e sale nelle adorazioni di Dio.

La mia parola a te, discepola, è la stessa di quella che dicevo[6] ai discepoli di un tempo: Ama. Dall’amore viene luce, viene vita, viene speranza, viene fede, viene costanza, fortezza, giustizia. Tutto viene dall’amore. Chi possiede l’amore possiede lo Spirito di Dio. E chi possiede lo Spirito ha in sé le sette fonti che annullano i sette peccati che impediscono la Vita in Dio.

Nelle Tenebre che imperano porta in te accesa la Luce del mondo. Per lei otterrai il possesso del Cielo.

La pace di Cristo sia sempre teco.»

 


Lo stesso 27 dicembre, alle ore 6 antimeridiane.

Dice Gesù:

«Sono i miei quattro evangelisti coloro che, fuoco sprigionante fuoco, portano la mia Voce nella direzione voluta dai loro spiriti accesi. Portano la mia Gloria alle genti, perché mi fanno conoscere e dànno col loro ardore moto al trono[7] su cui sfolgora la mia Maestà di Dio, Redentore e Maestro. Il loro spirito, vivente eterno in seno a Dio, muove le mistiche ruote e dà, senza mezzi umani, ad esse vita poiché è spirito di Vita.

A venti secoli di distanza non sono forse essi che ancora evangelizzano e dirigono a Me la massa degli umani e quella dei credenti, ed empiono del fragore santo del mio insegnamento la Chiesa Romana, sonante della mia Voce che rimbomba come voce d’organo sotto le volte mistiche del Tempio smisurato di Dio che vi accoglie, o cristiani non fedifraghi, spenti o rinnegatori, e che si stende vasto come un firmamento su tutta la Terra e le genti accoglie all’ombra della Croce e del Tabernacolo?

Non è la loro parola, eco della mia Parola scesa nei loro cuori e fatta in essi Luce per volere dello Spirito di Dio, quella che con rumore d’immense acque vi riporta il tono della voce sublime di Dio?

Non è nel rumore dei loro passi il rumore delle moltitudini che la loro parola ha attirate a Me, simile a rumore di armata in cammino, della santa armata di Cristo, loro Duce e Signore, che vince con essi le forze d’inferno e conquista per essi e con essi il Cielo?

Non è nel loro aspetto (e qui non alludo al simbolismo del volto, ma dello stile) quelli che vi riportano così viva e perfetta la mia quadruplice figura di Uomo divino nella mia Umanità perfetta, non dissimile alla vostra nei bisogni e nelle passioni, ma sublimata a Perfezione che vi insegna a quali vertici occorre portare sé per essere dei Cieli e quali vi aveva fatti il Padre per i Cieli? La mia pazienza e forza per cui ho vinto Satana, la Morte e il Mondo, e vi ho vinto con l’amore e trascinato come masso di marmo pario sulla salita la cui vetta è il Cielo? Il mio coraggio, il mio eroismo rispetto al quale quello del leone è nullo, perché Io non ho il coraggio di chi assale per nutrire il suo io, ma il coraggio eroico e sublime di chi si fa assalire e uccidere per fare di Sé cibo di vita ai languenti della Terra?

Non è soprattutto la mia Divinità che splende e balena nell’intelligenza e vi porta dal centro dei Cieli la Luce, e vi porta la Carità, e vi porta la Sapienza, e vi porta la Conoscenza, e vi porta il Dio, Uno e Trino, facendovi cogniti del Padre e possessori dello Spirito, rapendovi ad altezze in cui solo chi ha fatto della sua pesantezza umana una spirituale levità vola come aquila chiamata da un amore a congiungimenti eterni in cui più non siete uomini ma dèi?

Non vi insegnano col loro rimanere immoti, adorando, quando la mia Voce tuona nei Cieli, la grande verità che non vi è voce più grande della mia, più santa e vera, e che ogni altra voce, ogni altra potenza, deve tacere e fermarsi quando Essa parla, per accoglierla come gemma inestimabile e portarla in sé per mostrarla alle folle e rapirle a Dio?

Non riposa la mia Gloria su loro come su sicuro trono e non splende la mia Luce su questi benedetti che hanno seminato l’Orbe della mia Parola e l’hanno cristianizzato e redento ammaestrandolo del Redentore e Dio Gesù Cristo?

Nùtriti, o figlia diletta, di questa santa Parola che essi ti portano e che io ti dono. Poiché sei destinata a ripetere insegnamenti del Verbo che prende la tua pochezza per sbalordire i grandi e consolare gli umili, accetta il cibo che io ti offro e non lo ricusare. Se la sua materia ti pare ostica e immangiabile come pesante rotolo di pergamena, sappi che te ne spezzo i sigilli e te ne sbriciolo le parti poiché t’amo, e ti voglio nutrire di cibo santo.

Apri il tuo cuore a saziane l’insaziabile fame, perché il cuore che ha conosciuto Dio ha di Lui insaziata fame. Il mio Vangelo antico e nuovo sarà miele dolcissimo allo spirito tuo.»


[1] Ti sono apparsa… Ai "dettati" di Maria Ss., elencati in nota al 18 dicembre, aggiungiamo l'elenco delle sue "apparizioni", descritte sotto le seguenti date: il 23 giugno, l'8, il 12 e 19 settembre, il 20 e 28 novembre, il 17, 25 e 29 dicembre.

[2] non avresti avuto più mamma, deceduta il 4 ottobre di quell'anno.

[3] Come ho preso in Giovanni voi, come si legge in Giovanni 19, 26.

[4] non ti affliggere, come al termine dello scritto del giorno precedente.

[5] piccolo Giovanni è il nome dato a Maria Valtorta per la somiglianza della sua spiritualità e della sua missione con quelle dell'apostolo ed evangelista Giovanni.

[6] dicevo, per esempio in 1 Giovanni 4, 7-21; 5, 1-3.

[7] trono potrebbe leggersi anche tuono.

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