28 Novembre. Da: I Quaderni del 1943 di Maria Valtorta

28 novembre 1943.

 Dice Gesù:

«Segno caratteristico della mia nascita al mondo fu la luce.

Molte volte i fatti sono caratterizzati da fenomeni che voi chiamate e spiegate come fortuite coincidenze ed invece sono i presagi, i richiami di Dio per attirare la vostra attenzione, sviata dietro a mille più o meno necessarie cose, su un fatto che segnerà un’epoca nella storia del mondo o nella vita di un individuo.

Io ero la “Luce” e la luce mi precedette, mi circondò, mi annunziò, mi condusse, e a Me condusse i puri di cuore.

Ti ho detto[1] che pareva che una luce emanasse da Maria mentre, sul povero mezzo dei poveri, passava raccolta sulle vie della Palestina. Ti ho detto altre volte[2] che chi ha in sé Dio non solo spiritualmente emana vibrazioni di luce e profumo, poiché l’interno Tesoro si effonde dalla teca viva che lo porta  ed è percepibile agli altri esseri. Voi dite allora: “Costui ha in sé qualcosa che è speciale. Che volto! Che modi! Di santo”.

Maria era la Tutta Santa e portava il Santo dei santi. Possedeva perciò la perfezione della santità umana già talmente indiata da essere quasi uguale a quella del suo Dio. Possedeva la Perfezione divina che si era vestita di carni chiedendole di nutrirla del suo sangue vergine, di formarla, di esserle rifugio per i nove mesi della sua formazione d’uomo.

Dio si nutriva di Maria. Dio‑Uomo è fatto di Maria, e della mia soavissima Madre Io ho preso le caratteristiche fisiche e morali di dolcezza, di mitezza, di pazienza. Il Padre mi ha lasciato la Perfezione, ma Io ho voluto assumere, della Benedetta che è stata il mio casto nido, la veste fisica e la più preziosa veste morale del carattere.

Essendo Maria la più santa di quante  creature abbia avuto la Terra, emanava la santità non più come vaso chiuso da cui filtrano molecole di profumo, ma come astro acceso sprigionante eteri e raggi di soprannaturale potenza.

Se il Battista trabalzò nel seno della madre sua ricevendo l’onda della Grazia emanante da Maria e ne rimase santificato, tanto potente era stata l’emanazione da superare le barriere della carne oltre la[3] quale il frutto di Zaccaria e di Elisabetta si formava per essermi evangelizzatore (Vangelo vuol dire “buona novella” e Giovanni dette agli uomini la “buona novella” del mio essere fra gli uomini, dunque non erro a chiamarlo mio evangelizzatore. Ciò per i cavillatori della parola) coloro che avvicinavano Maria direttamente non potevano rimanerne senza ripercussione.

Lasciò dietro a Sé una scia di santità operante e, solo che i cuori non respingessero la Grazia, gli avvicinati divennero  dei predestinati alla santità. Quando tutto sarà cognito dell’uomo, vedrete che nei primi seguaci del Figlio di Maria sono molti di quelli che ebbero con Lei anche casuale rapporto e rimasero lavati e penetrati dalla Grazia che da Lei s’effondeva. Molti prodigi conoscerete, allora, operati dalla mia Tutta bella e Tutta grazia.

Maria converte ora i cuori più duri e salva i peccatori più ostinati, ma non si è iniziato il ciclo del suo potere dal giorno in cui ‑ Stella che risale ai Cieli ‑ Ella assurse a riposarsi nuovamente sul mio Cuore ed a fare più bello per Me il Paradiso, a farlo completo perché ora vi era Lei, la Mamma che ho amato infinitamente ed alla quale tutto devo, come uomo, in compenso di tutto quanto da Lei ho avuto. La santificazione delle genti attraverso Maria si iniziò dal momento in cui lo Spirito la fece Madre e il Figlio di Dio prese carne nel suo beatissimo seno.

Saturo di questa emanazione sino ad esserne fatto quasi simile alla Piena di grazia, era Giuseppe. Lacrime beate scendevano al Giusto per la gioia che lo inondava, mistica gioia di contemplatore che sta curvo sopra un miracolo di manifestazione di Dio. Adorazione e silenzio furono le caratteristiche di Giuseppe santo. Rispetto venerante per la Beata di cui egli era il naturale protettore. E amore.

Il primo amore casto di coniuge, l’amore quale doveva essere quello degli uomini secondo il pensiero del Creatore: amore senza aculeo di senso e senza fango di malizia. Un amore naturale e angelico insieme poiché nell’anima di Adamo e dei figli di lui, secondo il pensiero creativo, doveva essere la purezza angelica dello spirito commista alla tenerezza umana, e come fiore che sboccia senza peccato dallo stelo che lo porta così doveva, senza verme di libidine, sorgere l’amore nei coniugi e dare  dei figli ai talami casti.

Esser casti non vuol dire interdirsi il coniugio. Vuol dire compierlo pensando a Dio che fa di due animali ragionanti due creatori minori e, come Dio creò senza mettervi pensiero di malizia il maschio e la femmina e non pose nella loro pupilla luce di carne per svelare agli innocenti la carne, così i coniugi dovrebbero fare del matrimonio una santa creazione allietata di culle, ma non sporcata da libidine.

Il coniuge onesto e santamente amoroso cerca divenire simile all’altro coniuge, poiché chi ama tende a prendere somiglianza della creatura amata, onde il matrimonio bene inteso è elevazione reciproca, perché non vi è alcuno completamente perfido e basta migliorare ognuno un punto prendendo ad esempio il buono dell’altro per salire in mutua gara la scala della santità. Come pianta che getta un ramo più alto del precedente e sale, sale verso l’azzurro, così è la santità coniugale e individuale. Oggi è una virtù. Domani da questa virtù ne rampolla un’altra sempre più alta, e dalle umane virtù di sopportazione reciproca si sale alle vette della eroicità soprannaturale.

Giuseppe, coniuge santo e casto della Santa e Casta, come bambino presso la maestra imparava giorno per giorno la scienza d’essere simili a Dio e, poiché nel suo cuore di giusto nulla era ostacolo alla Grazia, giorno per giorno della sua Maestra amata egli prendeva somiglianza, somigliando così a Dio di cui Maria era la più perfetta copia.

Nella notte santa, ciò che riscosse Giuseppe, orante con una tale forza da giungere[4]sino a circondarsi di una mistica barriera isolante l’anima dall’esterno, fu la luce.

Nella grotta, prima appena rischiarata da un focherello di sterpi che già languiva per mancanza di alimento, s’era  diffusa una luce pacata che aumentava gradatamente quasi chiarore di luna che, prima coperta da veli di nuvole, poi se ne libera e scende schietto a fare d’argento la Terra.

Nella luminosità era Maria, ancora inginocchiata ‑ poiché Io nacqui mentre Ella orava ‑ ma ribassata sulle sue calcagna. Era Maria che con lacrime e sorrisi baciava la mia Carne d’infante.

Non molte parole anche ora: la solita: “Giuseppe!”, e la presentazione a lui del Frutto delle sue viscere sante.

La Famiglia era la prima redenta da Dio. Ricostruita quale l’Eterno l’aveva pensata. Due che si amano santamente e che santamente si ritrovano curvi su un neonato e nel bacio che si scambiano su quella cuna non v’è sapore di lussuria, ma mutua gratitudine e mutua promessa di amarsi di amore scambievole che aiuta e conforta.

Quando i primi pastori entrarono, trovarono ancora i due Santi uniti così dall’amore  e dall’adorazione e pareva Giuseppe, uomo maturo, il padre della Vergine e del Pargolo, tanto nel suo aspetto era visibile quella tenerezza scevra di carnalità che, disgraziatamente, non si vede che nell’occhio di un padre.

La Luce era ormai sulla Terra e dai Cieli aperti la luce scendeva a ondate di angeli annullando col suo paradisiaco splendore la luminosità degli astri della notte serena. Non fu percepita dai dotti, dai ricchi, dai sazi di piaceri, ma fu diana agli umili lavoratori che compievano il loro dovere.

Sempre sacro il dovere, quale che sia. Il dovere del re che firma i decreti non è più alto di quello del contadino che ara la terra o del mandriano che veglia sul gregge. È il Dovere. È la Volontà di Dio.  Perciò è sempre nobile. Perciò consegue lo stesso premio o lo stesso castigo soprannaturale. E non sarà portare corona o tenere vincastro che vi salverà dal castigo o vi negherà il premio. A chi fa il proprio dovere, facendo così la Volontà Santissima, Dio si manifesta e lo prende a testimonio dei suoi prodigi.

E ai pastori fu manifestato Dio e i pastori[5] furono chiamati a testimonio del prodigio di Dio. Nella luce divenuta ormai sfolgorante perché tutto il Cielo era sulla e nella grotta, l’Emmanuele fu visibile ai secondi redenti della Terra: ai lavoratori. Poiché Dio è venuto a santificare il lavoro dopo la Famiglia. Il lavoro, dato come maledizione all’uomo dopo la colpa d’Adamo, diveniva benedizione dal momento che il Figlio di Dio volle divenire lavoratore fra gli uomini.

La Luce era venuta nel mondo. E non bastava la grotta meschina, non  la limitata campagna di Betlemme, a contenerla. La Luce si sparse ad oriente e occidente, ad austro e a meridione. Non ai gozzovigliatori parlò col suo apparire, non disse parole ai gaudenti col suo vibrare. Parlò a coloro che, puri di cuore e anelanti alla Verità, umiliavano la mente coltissima ai piedi di Dio e si sentivano atomi davanti alla sua Santità.

Ai potenti che della potenza si facevano strumento di spirituali conquiste si mostrò la Luce, e li chiamò ad adorarla con uno sfavillio che riempì i quattro punti del firmamento. Ai potenti, perché Dio è venuto per santificare i Potenti dopo i Lavoratori e la Famiglia, e coi potenti la Scienza. Ma non ai potenti malvagi e agli scienziati atei si manifesta Iddio e li copre di benedizioni, ma a coloro  che del dono della potenza e della scienza si fanno un mezzo di elevazione soprannaturale, non di sopraffazione o di negazione.

Dio è Re anche dei re e Dio è Maestro anche dei maestri. La Luce trovò molti maestri sulla Terra, ma solo ai maestri desiderosi di Dio la Luce divenne richiamo. È sempre così.La Grazia opera là dove è desiderio di possederla e tanto più opera, sino a divenire Parolae Presenza, quanto più è vivo il desiderio del possesso e d’esser posseduti.

Davanti al Re dei re, guidati dall’unica cosa che è degna di esser traccia a Dio: la luce, vennero dalle remote contrade i potenti, primo scaglione degli infiniti che nei secoli dei secoli avrebbero intrapreso la mistica marcia per andare verso Dio. Non ai potenti di Palestina, non a coloro che si credevano depositari dei  segreti e dei decreti di Dio ‑ e tali decreti e segreti erano[6] per loro resi incomprensibili perché non era santità in loro, e i segni del Cielo e le parole del Libro erano semplici meteore e semplici parole senza più significato soprannaturale ‑ ma ai lontani.

Ero venuto Luce nel mondo. Luce per il mondo. Luce al mondo. Chiamavo il mondo alla Luce. Tutto il mondo.

E lo chiamo. Lo chiamo da venti secoli, senza soste. Sulle vostre tenebre non cesso di fare risplendere la mia Luce. Se sapeste innalzarvi oltre la barriera di caligine che avete sparsa sul mondo, vedreste il Sole divino sempre sfolgorante e benigno sugli uomini, su tutti gli uomini.

Né è da stupirsi se vi precedono  ormai quelli che sono i più lontani da Roma cattolica.Gaspare, Melchiorre, Baldassarre, da tre punti della Terra sul paziente dorso dei cammelli vennero alla Luce del mondo non vista dai compatrioti del Figlio di Maria. Africani, asiatici, australi, vengono alla Croce che voi avete respinta. E vi sorpasseranno.Nell’ultimo giorno, quando il tempo e gli uomini saranno illuminati in ogni punto e lato, si vedrà la ingrata lacuna lasciata da voi, cattolici da secoli, mentre gli altri: idolatri e eretici, affascinati dal Cristo, Signore Santo, saranno affluiti con le loro anime fatte vergini dalla Grazia.

Quanti moti tenebrosi nel mondo civile! È la vostra vergogna e il vostro castigo. Mai avreste dovuto e mai dovreste permettere che la Luce data a voi per i primi fosse da voi respinta e rinnegata.  Le tenebre vi uccidono e non le volete abbandonare. Da esse vengono, come gli odiosi animali della notte, tutti i mali che vi tormentano e si pascono del vostro sangue, del vostro tormento.

Non mi volete più. Non mi comprendete più. Non mi conoscete più. Neppure quelli della “mia casa” mi conoscono più. Ed Io stento a conoscere loro, tanto li hanno imbruttiti le molte malattie della carne e della mente.

Ma, in questa prima domenica d’Avvento che annuncia la venuta della Luce al mondo, Io ve ne prego, o figli[7], se non osate più guardare a Me Redentore e Giudice perché alla vostra anima avvilita il Dolore fa paura e la Giustizia terrore, guardate a Me, piccolo infante sul seno di Maria.  Non può un pargolo avere altro che carezze e sorrisi. E questi ho per voi.

Pietà della mia nudità e della mia povertà. Non di vesti e di denaro, ma di amore. Dell’amore vostro. Non voglio oro, non incenso. Voglio solo l’amore vostro. Lo voglio perché amarmi e conoscermi è Vita e Verità. Come Maria mi ha generato per opera dell’Amore, così Io vi voglio generare per mezzo dell’amore. Il mio è vivo e operante, ma occorre anche il vostro.

Venite a Me e accoglietemi in voi. Aprirò in voi torrenti di Luce e di Grazia e vi farò divenire figli di Dio come Io sono. Benedetti quelli che la mia Luce accolgono. Io sarò in loro.  Io abiterò in loro, nel loro spirito. Poiché il Verbo non ha bisogno di dimore di creta, ma di dimore vive: gli spiriti degli uomini vuole Egli per sua abitazione.

La gloria di Dio è svelata a coloro che mi accolgono, poiché ove Io sono è Meco il Padre e lo Spirito, e la gloria del Signore si disvela piena e letificante ad essi, e la Grazia è la loro vita e, come il sole dall’alto del cielo, la Paternità, la Fratellanza, la Carità divina sono su di loro e dànno anticipi di beatitudine.

Maria nella sua luminosità estatica mi offre al vostro amore. Curvate la fronte all’Amore fatto carne. Egli ha lasciato i Cieli per portarvi ai Cieli. È venuto nella guerra per portarvi la Pace

All’anima mia da tre giorni si sono aperti i fiumi dell’estasi e gioisco della visione oltre che della parola. Ho l’anima fatta candore e luce, perché il candore della Madre Vergine e la Luce sono in me.

Gloria a Dio per la sua bontà che concede alla sua serva di vedere ciò che hanno visto gli angeli e che inonda della sua Pace l’anima mia.

La radio trasmette in questo momento l’ “Agnus Dei” della messa domenicale. Ma io ho visto l’Agnello appena nato dormente nel grembo del Candore… ed è più bello della più bella musica…

 


[1] Nel dettato del 27 novembre, pag. 395.

[2] Ad esempio, nei dettati del 10 giugno (pag. 26) e del 30 settembre (pag. 245).

[3] la è nostra correzione da il

[4] con una tale forza da giungere essendo parole aggiunte, vengono dalla scrittrice richiamate e ripetute in calce per maggiore chiarezza.

[5] i pastori è aggiunto da noi.

[6] erano è nostra correzione da avevano

[7] Precede un ma che omettiamo.

 

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