29 giugno. Da: I Quaderni del 1943 di Maria Valtorta

29 giugno.

 

Dice Gesù:

«Anche oggi ti parlerò riferendomi al Vangelo. Ti illustrerò una frase. Una sola, ma che ha significati vastissimi. Voi la considerate sempre sotto un sol punto di vista. La vostra limitatezza umana non vi permette di più. Ma il mio Vangelo è opera spirituale, perciò il suo significato non resta circoscritto al punto materiale di cui parla, ma si propaga come un suono in cerchi concentrici, e sempre più vasti, abbracciando tanti significati.

Io ho detto al giovane ricco: “Va’, vendi quello che hai e vieni a seguire Me”.

Voi avete creduto che Io dessi il consiglio evangelico della povertà. Sì, ma non della povertà quale voi la intendete; non quello soltanto. Il denaro, le terre, i palazzi, i gioielli, sono cose che amate e che vi costa sacrificio a rinunciare di averle o dolore a perderle. Ma per una vocazione d’amore sapete anche spogliarvene. Quante donne non hanno venduto tutto per mantenere lo sposo o l’amante ‑ il che è peggio ‑ e continuare una vocazione di amore umano? Altri per un’idea fanno getto della vita. Soldati, scienziati, politici, banditori di nuove dottrine sociali, più o meno giuste, si immolano ogni giorno al loro ideale vendendo la vita, dando la vita per la bellezza, o per quello che loro reputano bellezza, di una idea. Si fanno poveri della ricchezza della vita per la loro idea. Anche fra i miei seguaci molti hanno saputo e sanno rinunciare alla ricchezza della vita, offrendola a Me per amore mio e del loro prossimo. Rinuncia molto più grande di quella delle materiali ricchezze.

Ma nella mia frase c’è un altro significato ancora, come c’è una ricchezza più grande dell’oro e della vita e infinitamente più cara. La ricchezza intellettuale. Il proprio pensiero! Come ci si tiene! Ci sono, è vero, gli scrittori che lo elargiscono alle folle. Ma lo fanno per lucro, e poi il vero loro pensiero non lo dicono mai. Dicono quello che serve alla loro tesi, ma certe intime luci le tengono sotto chiave nello scrigno della mente. Perché spesso sono pensieri di dolore per intime pene o rimproveri della coscienza destata dalla voce di Dio.

Ebbene, in verità ti dico, che essendo questa una ricchezza più, grande e più pura ‑ perché ricchezza intellettuale e perciò incorporea ‑ la sua rinuncia ha un valore diverso agli occhi miei. Quanto in voi si accende, viene dal centro del Cielo dove Io, Dio Uno e Trino, sono. Non è quindi giusto che voi diciate: “Questo pensiero è mio”. Io sono il Padre e il Dio di tutti. Perciò le ricchezze di un figlio, che Io do a un figlio, devono essere godimento di tutti e non esclusivo di uno. A quell’uno che si è meritato d’essere ‑ dirò così ‑ il depositario, il ricevente, resta la gioia d’esser tale. Ma il dono deve circolare fra tutti. Perché parlo a uno per tutti. Quando uno trova un tesoro, se è un onesto, si affretta a consegnarlo a chi di dovere e non lo tiene colpevolmente per sé. Colui che trova il Tesoro, la mia Voce, deve consegnarla ai fratelli. È tesoro di tutti.

Non amo gli avari. Neppure gli avari nella pietà. Ci sono molti che pregano per sé, usano delle indulgenze per sé, si nutrono di Me per sé. Mai un pensiero per gli altri. È la loro anima che preme loro. Non mi piacciono. Non si danneranno perché restano in grazia mia. Ma avranno solo quel minimo di grazia che li salverà dall’Inferno. Il resto, che dovrà dare loro il Paradiso, dovranno guadagnarselo con secoli di Purgatorio. L’avaro, materiale e spirituale, è un goloso, un ingordo e un egoista. Si rimpinza. Ma non gli fa pro. Anzi questo produce in lui malattie dello spirito. Diviene un impotente a quell’agilità spirituale che vi rende capaci di percepire le divine ispirazioni, regolarvi su di esse e raggiungere con sicurezza il Cielo.

Vedi quanti significati può avere una mia parola evangelica? E ne ha altri ancora. Ora, piccola gelosa dei miei segreti, regolati. Non fare delle ricchezze che ti do delle ricchezze ingiuste.

Riguardo a quanto ti dissi ieri[1], non pensare che colei per cui tu devi riparare sia un’anima consacrata la cui vocazione vacilla. No. È una debole creatura che Io avevo eletta, ma che ascoltò le voci delle creature più della mia e per meschine considerazioni umane perdette il trono nella casa dello Sposo. Ora ne soffre. Ma non ha forza di riparare. Le aprirei ancora le braccia. Prega perché sappia venire alla porta della mistica sala di nozze e vi sappia entrare con un’anima nuova. Anche una lacrima offerta a tal scopo ha il suo peso e il suo valore.»

 


[1] 28 giugno.

Precedente 28 giugno. Da: I Quaderni del 1943 di Maria Valtorta Successivo Siria spaccata, i cristiani pagano