29 giugno. Da: I Quaderni del 1944 di Maria Valtorta.

29 giugno

Piu' tardi dice Gesu':

Gesù

«Ogni vivente ed ogni cosa dei viventi muore e dilegua per non più tornare. Gioia, dolore, salute, malattia, vita, sono episodi che vengono e si dissolvono, prima o poi, né tornano, in quella forma, mai più. Potrà la gioia o il dolore, la salute o la malattia, tornare con altre forme e altri volti. Ma quella data gioia, quel dato dolore, quella malattia, quella salute non tornano più. È cosa del momento. Passato quel momento, verrà un altro momento consimile, ma non mai più quello.

E la vita… Oh! la vita, passata che sia, non torna mai più. Vi è data un’ora di eternità, un momento di eternità per conquistarvi l’Eternità.

Non hai mai riflettuto che potrebbe essere questo motivo applicato alla parabola delle mine di cui parla Luca[1]?

Vi è data una moneta di eternità. Il Signore ve la affida e vi dice: “Andate. Negoziate la vostra moneta finché Io ritorno”. E al suo ritorno, anzi al vostro ritorno a Lui, Egli vi chiede: “Che ne hai fatto della moneta avuta?”. E il servo fedele, lui felice, può rispondere: “Ecco, mio Re. Con questa moneta di eternità ho fatto questo, questo e questo lavoro. E, non per calcolo mio, ma per parola angelica, so di aver guadagnato dieci volte tanto”. E a lui il Signore dice: “Bravo servo fedele! Poiché sei stato fedele nel poco, avrai potere su dieci città e, nel tuo caso, regnerai qui, dove Io regno per l’eternità, subito, poiché hai lavorato come più e meglio non potevi”.

Un altro, chiamato da Dio, dirà: “Con la tua moneta ho fatto questo e questo. Vedi, mio Re, ciò che di me è scritto”. Ed lo dirò: “Anche tu entra, poiché hai lavorato come e quanto hai potuto”.

Ma a colui che mi dirà: “Ecco: la moneta è tale a quale. Io non l’ho negoziata perché avevo paura della tua giustizia”, dirò: “Va’ a conoscere l’Amore nel Purgatorio e lavora là a conquistarti il regno, poiché sei stato un servo ignavo né ti sei dato pena di conoscere chi Io sono e mi hai giudicato ingiusto, dubitando della giustizia mia e dimenticando che Io sono l’Amore. Il tuo denaro sia mutato in espiazione”.

E a quello che mi si presenterà dicendo: “io ho dilapidato la tua moneta e me la sono goduta poiché non credevo che vi fosse realmente questo Regno e ho voluto godere l’ora che mi era data”, Io dirò sdegnato: “Servo stolto e bestemmiatore! Ti sia levato il mio dono e sia versato nel Tesoro eterno, e tu va’ dove Dio non è e non è Vita, poiché hai voluto non credere e hai voluto godere. Hai goduto. Hai avuto dunque già la tua gioia di carne senza anima. Basta. Il Regno d’eternità ti è per sempre chiuso”.

Quante volte non dovrei tuonare queste parole, se fossi soltanto Giustizia! Ma l’Amore è più grande della mia Giustizia. Perfetta l’una e perfetto l’altro. Ma l’Amore è la mia natura e ha la precedenza sulle mie altre perfezioni. Ecco perché temporeggio col peccatore operando in modo che non perisca del tutto il colpevole.

Vi do tempo. Questo è amore ed è giustizia insieme. Che direste se vi percuotessi al primo errore? Direste: “Ma, Signore! Se mi davi tempo da riflettere mi sarei pentito!”. Vi lascio tempo. Una, due, dieci, settanta volte mancate e potrei colpirvi. Vi do tempo. Perché non possiate dirmi: “Non hai avuto benignità”.

No. Siete voi che non siete benigni con voi stessi. E vi defraudate della ricchezza che Io ho creata per voi. E vi suicidate levandovi la Vita che vi ho creata.

La maggioranza di voi disperde o fa mal uso della moneta di eternità che Io vi dono, e della giornata terrena fate non già la vostra eterna gloria ma il mezzo di una eterna sofferenza. La minoranza, avendo paura della mia Giustizia, sta inerte e si condanna a imparare chi è Dio-Amore fra le fiamme dell’amore purgativo.

Solo una parte piccolissima sa apprezzare la mia moneta e farla fruttare al dieci per uno, sa tuffarsi nell’amore come pesce in limpida peschiera e risalire la corrente per giungere alla sorgente, al Dio suo, e dirgli: “Eccomi. Ho creduto, amato, sperato in Te. Tu sei stato la mia fede, il mio amore, la mia speranza. Ora vengo, e la mia fede e la mia speranza cessano e tutto diviene amore. Poiché ora non ho più bisogno di credere che Tu sei, ora non ho più bisogno di sperare in Te e in questa Vita. Ora ti ho, mio Dio. E l’amarti, unicamente l’amarti, è l’eterno compito di questa mia eterna Vita”.

Sii di queste, anima mia, e la mia pace sia con te per aiutarti a questa opera.»


[1] Luca 19, 11-27.

 

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