Abusi sulle donne in Asia del Sud: la Chiesa dice basta

31/05/2014   
 
Islamabad. Una manifestazione contro la violenza sulle donne

 

(©Reuters)

(©REUTERS) ISLAMABAD. UNA MANIFESTAZIONE CONTRO LA VIOLENZA SULLE DONNE

 

Dopo i due terribili casi di violenza in India e Pakistan, i vescovi rilanciano l’appello per promuovere e tutelare la condizione femminile

PAOLO AFFATATO
ROMA

La Chiesa è tra le forze trainanti nel difendere la dignità e diritti della donna in Asia del sud. Due casi di estrema violenza hanno turbato nei giorni scorsi l’India (due adolescenti sono state stuprate e impiccate da un gruppo di giovani nello stato di Uttar Pradesh) e il Pakistan, dove una donna è stata lapidata dai suoi familiari, in un cosiddetto “delitto d’onore”. I due crimini riportano l’attenzione internazionale sulla condizione femminile nelle nazioni del subcontinente indiano (Pakistan, India, Bangladesh, Nepal, Sri Lanka), accomunate da una modello di società patriarcale che, soprattutto nelle aree rurali, tiene la donna in uno stato di subordinazione che a volte degenera in autentico schiavismo. Inoltre, il perdurare del sistema castale, formalmente abolito ma di fatto tuttora vigente nella mentalità e nella prassi, è un fattore aggravante per le donne appartenenti alle caste più basse o ai fuori casta (i cosiddetti pàriadalit), nonchè per quelle provenienti dalle minoranze religiose (cristiani e indù in Pakistan; musulmani e cristiani in India), particolarmente vulnerabili agli abusi e spesso considerate alla stregua di bestiame o perfino di merce.

Nel caso indiano, la nazione detiene il triste record mondiale per i maltrattamenti sulle donne. L’abuso fisico è considerato un “diritto del marito”, mentre quasi la metà delle violenze registrate colpisce bambine tra 5 e 10 anni. Secondo ancestrali tradizioni culturali, la nascita di una bambina è considerata una rovina, perché richiede sacrifici per mettere da parte la dote. E, quando le famiglie sono molto numerose, le bambine sono spesso costrette a prostituirsi. La pratica dell’aborto selettivo (se ne stimano 12 milioni negli ultimi trent’anni) e dell’infanticidio femminile è tuttora diffusa, quanto il traffico di donne e bambine, soprattutto nelle aree tribali, celato spesso dietro il matrimonio combinato. In tale contesto e di fronte a un fenomeno come lo stupro, da molti non considerato nemmeno un reato, la Chiesa cattolica si è distinta come una delle istituzioni maggiormente impegnate a promuovere la dignità e operare concretamente per l’emancipazione della donna, auspicando una presa di coscienza dell’intera società.

Tuttavia la Chiesa rifiuta la pena di morte e la castrazione chimica per gli stupratori, discusse nei mesi scorsi dal governo di New Delhi. I cristiani ricordano che tali misure “non sono parte dell’orizzonte della Chiesa”. Si preme invece per rendere obbligatoria l'educazione sessuale nelle scuole pubbliche, di ogni ordine e grado. Il fine è cambiare la mentalità dei giovani studenti durante gli anni della formazione, ponendo l'accento sulla pari dignità uomo-donna. Le Chiese possono dare un contributo, si afferma, “educando al rispetto della corporeità come dono di Dio e al rispetto verso le bambine, nelle scuole cristiane”, frequentate da allievi di diverse comunità religiose. Un progetto pilota già esiste nell’arcidiocesi di  Ernakulam-Angamaly, nello stato del Kerala: è il programma di educazione sessuale “Enlight”, rivolto a preadolescenti e adolescenti, grazie al contributo di speciali team di educatori e psicologi. Un impegno massivo potrebbe avere un impatto reale perché esistono 15.000 fra scuole e istituti educativi gestiti solo dalla Chiesa cattolica nel paese, in circa 200 diocesi.

Proprio per rivalutare il ruolo della donna nella Chiesa e nella società, è stato lanciato di recente il “Movimento delle donne cristiane” che intende ripartire dal Concilio vaticano II e dal documento di Giovanni Paolo II “Mulieris dignitatem”. Le donne cristiane “vogliono promuovere atti di compassione e giustizia, difendere la dignità delle donne, fare rete con altre comunità” ed essere voce delle donne più povere ed emarginate. Il Movimento si è detto in “piena sintonia” con papa Francesco che ha più volte ha ribadito l’importanza della donna. “Le nostre donne subiscono violenze indicibili. Sentiamo Papa Francesco molto vicino alle sofferenze del popolo dell'India”, ha ribadito il card. Oswald Gracias.

Anche il contesto pakistano appare segnato da una strutturale violenza di genere e dall’impegno dei cristiani per la tutela della condizione femminile. Di fronte al recente omicidio di Farzana Parveen Bibi, donna incinta lapidata a morte dai suoi familiari nel complesso dell’Alta Corte di Lahore, ha alzato la voce l’arcivescovo emerito di Lahore, dichiarando all’agenzia vaticana Fides: “Il delitto d’onore è un'antica usanza che va sradicata al più presto. Questa pratica malvagia non può trovare posto in una società democratica, in cui il diritto alla vita di ogni persona va rispettato e difeso”. Farzana è stata uccisa in pieno giorno da una folla di circa 20 persone perché alcuni mesi fa aveva sposato un uomo contro il volere della sua famiglia. Nemmeno gli agenti di polizia in servizio hanno cercato di salvarla. Nella mentalità corrente, infatti, di fronte alla questione di “onore familiare”, è bene non interferire. I vescovi pakistani sono impegnati in una campagna contro il delitto d’onore che, secondo fonti della società civile, nel 2013 ha mietuto circa 900 vittime, tutte donne uccise dalle proprie famiglie. La pratica si perpetua specie nella aree remote, dove le famiglie impongono alle ragazze matrimoni forzati con uomini spesso molto più anziani di età.

In Pakistan questi e altri abusi sulle donne sono eventi quanto mai diffusi. E a farne le spese sono spesso donne delle minoranze religiose, cristiane e indù. I cristiani ricordano con dolore uno di quegli atti brutali, emblema della situazione: il giorno di Pasqua, Saira, bambina cristiana di sette anni, è stata violentata dal musulmano Mohammad Alam Fakhar, in un villaggio del distretto di Sialkot, in Punjab. Mentre la bambina era ricoverata in ospedale, alcuni musulmani hanno fatto pressione con la famiglia di Saira perchè non presentasse denuncia. Molti casi analoghi non vengano denunciati.

Secondo un recente rapporto dal tiolo dal titolo: “Forced marriages and forced conversions in the Christian community of Pakistan”, ogni anno circa mille ragazze delle minoranze religiose cristiane e indù vengono rapite, stuprate e costrette a nozze islamiche. Il rapporto, elaborato dal “Movimento per la Solidarietà e la Pace”, coalizione di Ong, associazioni ed enti come la Commissione “Giustizia e Pace” dei vescovi pakistani, conferma che 700 casi l’anno riguardano donne cristiane, 300 ragazze indù. Ma l’autentica portata del problema è probabilmente molto più ampia. Secondo il testo, si tratta di ragazze tra i 12 e i 25 anni, di famiglie povere e di classi sociali basse. Le denunce delle famiglie spesso si arenano di fronte al muro costituito dalle forze dell’ordine o alle minacce dei familiari dei rapitori.

 
Precedente Centrafrica, dopo il massacro i missionari scelgono di restare Successivo 2 giugno 1946. Da: Libro di Azaria di Maria Valtorta