Albania, il sangue dei martiri è monito per il futuro

29/08/2014   

 

Mons. Massafra

MONS. MASSAFRA

Intervista a Massafra, arcivescovo di Scutari-Pult. Ripercorre la storia di un Paese che dopo l’ateismo di Stato riparte dai suoi martiri cristiani e dalla convivenza religiosa

LUCIANO ZANARDINI
ROMA

“Mi auguro che il tempo e anche la prossima venuta in Albania di Sua Santità favorisca ancora di più il lavoro già intrapreso da anni; ma anche che il nostro possa diventare un esempio di fraternità e di apertura senza limiti anche per gli altri popoli che oggi, purtroppo, soffrono la persecuzione religiosa; ricordando che chi uccide in nome della fede in realtà è spinto da uno spirito criminale e terroristico, ma non dallo Spirito di Dio”. È questo, a pochi giorni dalla visita di Francesco, l’auspicio del francescano monsignor Angelo Massafra, arcivescovo metropolita di Scutari-Pult e presidente della Conferenza episcopale albanese.

 

Lei è membro autorevole del Consiglio interreligioso in un paese dove convivono in un governo di unità nazionale islamici, ortodossi e cattolici. Qual è il segreto?

«Nessun segreto caratterizza la convivenza delle fedi in Albania: un solo popolo, la comune sofferenza di tanti anni di regime e la volontà di non ricadere in forme antiche di repressione e disumanizzazione che hanno visto il popolo albanese “diviso” religiosamente sin dal 1500. Ciò che il comunismo ha lasciato è solo il ricordo di un’appartenenza religiosa che, via via, si è andata recuperando. Il cammino di formazione religiosa è lungo, ma vi sono esempi bellissimi di riappropriazione della fede e di formazione in essa, sia da parte cristiana che da parte islamica. Vi sono stati momenti in cui si paventava il pericolo che alcune frange approfittassero di momenti di crisi sociale per trasformarli in guerra di religione. L’unione tra i rappresentanti delle fedi ha scongiurato questo pericolo. Oggi viviamo rapporti di cordialità e di reciproco rispetto, nella valorizzazione di ciò che unisce anziché di ciò che divide. Le feste di ciascuno sono occasione per rinsaldare i rapporti tra le parti. Indubbiamente il Consiglio interreligioso potrebbe e dovrebbe fare ancora di più, non tanto dal punto di vista religioso ma sociale».

 

Il Papa, come ha sottolineato nel viaggio di ritorno dalla Corea, viene in Albania per incoraggiare un Paese che ha sofferto molto con l’ateismo…

«Alla caduta delle barriere imposte dal comunismo, il panorama che si presentava a chi metteva piede in Albania era quello di un disastro totale. La dignità di questa gente era stata visibilmente calpestata, al punto che era scomparsa anche la fiducia nei rapporti umani. Abbiamo trovato chiese distrutte o trasformate in sala giochi, sala di cultura o palazzetto della sport come la cattedrale di Scutari. Abbiamo trovato anche circa 30 sacerdoti, tra diocesani, francescani e gesuiti, sopravvissuti al comunismo, molti dei quali hanno subito carcere e torture di vario genere, e anche alcune suore sopravvissute al regime».

 

E oggi, qual è la situazione?

«A quasi un quarto di secolo di distanza, possiamo dire che di strada ne è stata fatta, anzitutto grazie alla volontà di riscatto di questo popolo orgoglioso e sempre sottomesso, ma grazie anche ai tanti aiuti. La strada da compiere appare ancora molto lunga: rimangono diverse piaghe da combattere, prima fra tutte l’emigrazione e la fuga delle migliori energie di questo giovane Paese. Poi ancora la produzione e lo spaccio di droga, la corruzione; fino a problemi più di natura politica che riguardano lo sviluppo sociale ed economico del Paese».

 

Come Presidente della Conferenza episcopale segue la causa dei martiri albanesi, c'è qualche figura che le piace sottolineare?

«I nostri “martiri” sono oggi il modello più forte di cui disponiamo per stimolare ancora di più il popolo albanese a non rinnegare le proprie origini, barattandole con gli abbagli di una cultura dominante che tende ad affogare le prerogative dei singoli popoli con l’indifferentismo. Essi sono la possibilità di rifondare l’Albania facendo leva sul positivo di una storia, anche se triste, che non può essere annullata, ma che diventa monito per il futuro. La figura che vorrei riportare è l’unica donna che compare nella lista dei “martiri”: la serva di Dio Maria Tuci».

 

Desiderava diventare suora stimmatina, ma il comunismo fece chiudere il convento…

«Nel carcere di Scutari fu soggetta alle più orribili torture per aver rifiutato di concedersi a un colonnello del regime. Ricoverata in ospedale, vi morì il 24 ottobre del 1950, libera e con il Rosario fra le dita. Ricordo lei perché, oltre all’amore per il suo popolo, si segnala quale nuova Agnese per il perdono ai persecutori e per il desiderio di riconciliazione tra vittime e carnefici in quella vicenda triste e oscura che fu il comunismo per l’Albania».

 

                                                                     

 
 

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