di Stefano Fontana
Il prossimo Sinodo sulla famiglia è atteso da molti con una certa
inquietudine. C’è la sensazione di due correnti di pensiero che in
quel contesto si misureranno fra loro. In questa fase pre-sinodale,
dopo la lezione del Cardinale Kasper, le due correnti stanno
predisponendo le truppe, elaborando strategie e tattiche.
Molti risolvono il problema affidandosi al Papa che, così si dice,
tirerà poi le somme e farà sintesi. Però il Papa non è lì per fare
sintesi tra due o più contendenti in campo, non è un paciere, il
mediatore di un dibattito televisivo né il segretario di un partito
capace di fare sintesi tra le correnti.
L’inquietudine non si dirada ma, anzi, aumenta man mano che ci
avviciniamo alla data di inizio del Sinodo per un motivo semplice
nella sua individuabilità ma profondo e difficilmente districabile
nella sua complessità. Questo motivo di incertezza e inquietudine è
quello del rapporto tra dottrina e pastorale, che una volta si
chiamava teoria e prassi e oggi viene chiamato spesso verità e
misericordia.
Il tema del Sinodo, si sa, è la famiglia e il matrimonio. In particolare
l’attenzione si concentrerà sull’argomento della comunione ai divorziati
risposati. Però, a ben vedere, il tema vero, su ci si sarà – umanamente
parlando – battaglia è appunto quello della dottrina e della pastorale.
Su questo i giochi tattici stanno dando il meglio di sé e la retorica del
linguaggio teologico sta già facendo scintille.
Coloro che insistentemente riaffermano la dottrina sul matrimonio e
dicono, sicuri, che il Sinodo non la potrà cambiare – da ultimo il
cardinale Collins di Toronto – affermano una verità che, alla lettera, va
bene anche ai fautori della linea Kasper, la linea del cambiamento.
Infatti anch’essi dicono che la dottrina non si tocca, però che sono
urgenti alcuni nuovi atteggiamenti pastorali. Tutti sanno, però, che in
qualche caso nuovi atteggiamenti pastorali esprimono una nuova
concezione della dottrina. I progressisti assicurano di volere solo
cambiamenti pastorali e non dottrinali, ma né loro né i loro oppositori
credono veramente che saranno solo pastorali. Così facendo, questa
fase pre-sinodale non riesce a chiarire granché, nonostante l’enorme
mole di discorsi e dichiarazioni, anche di alto livello sia per il contenuto
sia per gli autori.
Il fatto è che del rapporto dottrina-pastorale esistono oggi in campo
molte visioni, che si possono sommariamente ridurre a due. Per l’una la
pastorale dipende dalla dottrina (teologia della pastorale), per l’altra la
pastorale è tutt’uno con la dottrina o addirittura viene prima (teologia
pastorale). Il magistero ha sempre chiarito che la versione corretta è la
prima. Ma la prassi teologica prevalente è ormai da tempo la seconda.
Queste due visioni saranno in competizione anche al prossimo Sinodo.
Potremmo anche chiamare le due visioni come una visione metafisica la
prima e una visione ermeneuticala seconda. Ed infatti, nella teologia di
oggi, metafisica ed ermeneutica sono in lotta tra loro. Uno degli ultimi
autorevoli sostenitori della visione metafisica è stato Joseph Ratzinger
– Benedetto XVI, per il quale l’incontro della fede cristiana con il
pensiero greco è stato provvidenziale. Ma anche a leggere la Fides et
Ratio non c’è dubbio della scelta per la metafisica in luogo
dell’ermeneutica. Durante il postconcilio, però, e in competizione col
magistero ufficiale, è diventata di moda l’altra visione, quella
ermeneutica.
La visione del primato della dottrina sulla pastorale ha bisogno dello
strumento della metafisica, che permette di intendere la fede come vera
e propria conoscenza di verità sottratte al tempo, pur avendo
fondamentali ricadute storiche. La visione del primato della pastorale
sulla dottrina ha bisogno, invece, dello strumento dell’ermeneutica,
perché qui la verità è intesa come qualcosa da scoprire ed anche da fare.
La verità di fede non ci sarebbe data in senso trascendente, metafisico
e definitorio, ma esistenzialmente dentro i rapporti spazio-temporali.
Delle verità rivelate, quindi, fanno parte sia l’annuncio sia la recezione
dell’annuncio in un circolo, appunto, ermeneutico.
Già nel Concilio era emerso il problema su cui in seguito si sono
assiepati moltissimi equivoci. Divenne subito chiaro, infatti, che il
desiderio di Giovanni XXIII di mantenere salda la dottrina e di pensare
a riproporla in modo nuovo presupponeva il primato della dottrina sulla
pastorale. Ma emerse subito, soprattutto per l’influenza di Karl Rahner,
la visione del primato della pastorale sulla dottrina, che produsse
cambiamenti dottrinali partendo da esigenze pastorali.
Succederà così anche al prossimo Sinodo sulla famiglia? Ci sono molte
probabilità che l’equivoco continui anche in questa occasione. Finora
non ho visto interventi di chiarimento sul vero tema del Sinodo,
appunto il rapporto tra dottrina e pastorale. In questa zona nebbiosa si
potranno inserire nuovi equivoci, potrà perfino nascere uno “spirito del
Sinodo” – per certi versi già in atto con l’ausilio dei media – che farà
passare innovazioni dottrinali non mediante la modifica esplicita della
dottrina ma mediante una rinnovata prassi pastorale.