Il Califfato è già in Africa alle nostre porte

22-11-2014

http://www.lanuovabussolaquotidiana.it/mobile/articoli-il-califfato-e-gia-in-africaalle-nostre-porte-11007.htm#.VHJIidLF9GZ

di Anna Bono

Aree sotto il controllo del Califfato

L’Isis, il Califfato di al Baghdadi, si rafforza e crea avamposti ed enclave in Africa. Uno si trova a Derna, città della Libia di circa 100.000 abitanti vicina al confine con l’Egitto. Sui suoi edifici governativi sventola la nera bandiera del Califfato, le macchine della polizia ne ostentano le insegne, lo stadio cittadino è diventato il luogo delle esecuzioni pubbliche. Nei suoi sobborghi e nel vicino Gebel el-Achdar sorgono i campi in cui si addestrano miliziani provenienti da tutto il Nord Africa. 

La creazione di una enclave del Califfato in terra libica è stata realizzata dai militanti del Majis Shura Shabab al-Islam, il Consiglio della Shura per i Giovani dell’Islam, sotto la guida di un veterano dell’Isis, Aby Nabil al Anbari, inviato due mesi fa in Libia da al Baghdadi, e con il sostegno decisivo di circa 300 libici rientrati in patria dopo aver combattuto per il Califfato nella brigata al Battar in Siria e in Iraq. Derna è stata ribattezzata ‘Barqa’, il nome arabo per Cirenaica. Intervistato nei giorni scorsi dalla Cnn, Norman Benotman, ex leader del Libyan Islamic Fighting Group ora esperto in comunicazioni strategiche della fondazione britannica Quilliam, ha spiegato che gli affiliati all’Isis esercitano uno stretto controllo su Derna, sui suoi tribunali, sull’amministrazione, sulle scuole e sulla radio locale: «ormai la città è tale e quale ad al-Raqqa, il quartier generale dell’Isis in Siria. L’Isis costituisce una seria minaccia in Libia. È in procinto di creare un emirato islamico nell’est del paese».

Ad agosto il premier britannico David Cameron aveva detto: «se l’Isis vincesse, dovremmo fare i conti con uno stato terrorista sulle rive del Mediterraneo». Con Derna, l’Isis ha un suo avamposto a poca distanza dalle sponde europee del Mediterraneo.

Più a est, in Egitto, è nella penisola del Sinai che l’Isis si è insediato grazie al gruppo armato Ansar Beit al-Maqdis, I sostenitori del Sacro Tempio. Il gruppo è nato dopo la caduta del regime di Hosni Mubarak nel 2011. Da allora ha compiuto diverse azioni terroristiche, l’ultima e la più cruenta delle quali, il 24 ottobre, è costata la vita a 28 militari egiziani nei pressi di Arish, nel Sinai nord occidentale. Il 10 novembre Ansar Beit al-Maqdis ha giurato fedeltà ad al Baghdadi e ha cambiato il proprio nome in Wilayat Sinai, Provincia del Sinai.

In un video diffuso dall’Isis pochi giorni or sono, al Baghdadi ha dichiarato di aver accettato i giuramenti di fedeltà del Majis Shura Shabab al-Islam e degli Ansar Beit al-Maqdis annunciando la nascita delle due nuove province dell’Isis, quella libica e quella egiziana, e l’imminente nomina dei loro governatori. Nello stesso video, ha detto che anche altre provincie hanno giurato fedeltà al Califfato in Arabia Saudita, Algeria e Yemen.

«Che i governi occidentali lo riconoscano o meno – commenta Aaron Zelin, del Washington Institute for Near East Policy – l’Isis si è esteso a regioni non limitrofe e ora esercita la propria autorità su gruppi e piccole porzioni di territorio al di fuori dell’Iraq e della Siria».

Molto più a sud, nel cuore del continente africano, il territorio controllato dal Califfato proclamato in Nigeria ad agosto dai jihadisti Boko Haram non è poi tanto piccolo. Si stima infatti che comprenda ormai un’area pari al Galles: oltre 20.000 chilometri quadrati. Minaccia inoltre di espandersi nella Regione del Nord, una delle province del vicino Camerun dove i jihadisti hanno già stabilito delle basi permanenti. Il 13 novembre è caduta Chibok, la cittadina in cui ad aprile i terroristi hanno rapito quasi 300 studentesse in gran parte cristiane. Anche se forse l’esercito nigeriano è riuscito a riprendere Chibok, il Califfato include altre 26 città della Nigeria nord orientale.

La Nigeria fa parte dell’Africa occidentale. All’estremità orientale del continente, in Somalia, un'altra provincia del Califfato potrebbe nascere tra non molto, fondata da al Shabaab, il gruppo jihadista che, seppur ridimensionato, controlla tuttora estesi territori centro meridionali del paese. Ad agosto l’Isis aveva proposto agli al Shabaab di unirsi al Califfato. L’allora leader del movimento, Ahmed Abdi Godane, aveva rifiutato. Dopo la sua morte, avvenuta a settembre per opera di un drone Usa, la nuova leadership ha riaffermato l’alleanza con al Qaeda, ma di recente fonti diplomatiche, tra cui il ministro degli esteri degli Emirati Arabi Uniti Sheikh Abdullah bin Zayed al-Nahayan, hanno affermato che gli al Shabaab potrebbero decidere di lasciare al Qaeda per il Califfato, con cui condividono obiettivi e metodi di lotta: attentati dinamitardi, sequestri e, di recente, decapitazioni. È appena giunta notizia di due donne decapitate da miliziani al Shabaab sull’isola somala di Kudha.

In Africa sub sahariana negli ultimi due anni ci sono inoltre stati due tentativi di creare degli stati islamici in cui imporre la shari’a, la legge coranica: sono stati entrambi fermati, ma non ancora del tutto sventati.

In Mali diversi gruppi armati islamisti hanno per mesi, a partire dall’aprile del 2012, preso il controllo dell’Azawad, le regioni settentrionali del paese. Sconfitti militarmente nell’estate del 2013 grazie all’intervento di truppe francesi e internazionali, con la missione Onu Minusma, i jihadisti hanno trovato rifugio nei paesi vicini e in zone remote del Mali. Ma da oltre un mese, benché ad Algeri siano in corso dei negoziati di pace, hanno intensificato le loro attività, mai del tutto interrotte, mettendo a segno numerosi attentati contro militari e civili. Il ministro degli esteri maliano Abdoulaye Diop il 9 ottobre ha chiesto una forza rapida di intervento al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite confermando un costante afflusso di mezzi e uomini armati dai paesi vicini. Inoltre ha fatto presente che molti giovani, non solo del Mali, ma anche da Niger, Algeria, Nigeria e Somalia raggiungono i ranghi dell’Isis in Siria e in Iraq.

L’altro Stato sotto attacco jihadista è la Repubblica Centrafricana. Dopo il colpo di stato che nel marzo 2013 ha portato al potere per la prima volta un islamico, Michel Djotodia – i musulmani sono soltanto il 15% della popolazione – le milizie islamiche Seleka, autrici del golpe, hanno devastato il paese infierendo contro i cristiani e contro i beni della Chiesa. Si è presto scoperto che i combattenti Seleka erano per il 90% stranieri che parlavano arabo, provenienti dai vicini Ciad e Sudan: dei jihadisti intenzionati a conquistare il nord del paese e instaurarvi un regime islamista, fondato sulla shari’a. Il progetto è fallito per l’intervento di truppe inviate dall’Unione Africana, con il supporto di militari francesi, e per la resistenza sempre più agguerrita della popolazione che ha organizzato delle milizie di autodifesa. Da settembre una missione delle Nazioni Unite, Minusca, tenta di riportare la pace dopo che nei mesi scorsi si è sfiorato il genocidio.

Sia l’Azawad che il nord della Repubblica Centrafricana hanno sperimentato la durezza della shari’a per mesi. Se conquistati dai jihadisti, potevano diventare anch’essi “province” del Califfato: e non sono ancora del tutto al sicuro.

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