Crisi educativa è crisi di verità

di Massimo Introvigne 

 

Ricevendo il 13 dicembre i nuovi ambasciatori di alcuni Paesi che non rientrano fra i partner diplomatici storici della Santa Sede – la Repubblica di Guinea, San Vincenzo e Grenadine, il Niger, lo Zambia, la Thailandia, lo Sri Lanka – Benedetto XVI, come spesso gli capita, non si è limitato a un saluto di circostanza ma ha affrontato un tema che dall’inizio del suo ministero gli sta a cuore, la crisi dell’educazione e l’emergenza educativa, sempre più grave.

Certo, ha detto il Papa, nella nostra epoca ci sono «numerose sfide» – come non pensare alla crisi economica internazionale? –, eppure rimane vero che «l’educazione occupa un posto di primo piano». Ed è in crisi come non è mai stata prima: «avviene oggigiorno in contesti in cui l’evoluzione degli stili di vita e di conoscenza crea fratture umane, culturali, sociali e spirituali inedite nella storia dell’umanità». Gli stessi social network, «le reti sociali, altra novità, tendono a sostituire gli spazi naturali della società e della comunicazione, divenendo spesso l’unico punto di riferimento dell’informazione e della conoscenza». Il Papa che è appena sbarcato su Twitter non condanna i social network, ma il loro uso ossessivo che ne fa un punto di riferimento unico e totalitario.

«La famiglia e la scuola non sembrano essere più il terreno fertile primario e naturale da dove le giovani generazioni attingono la linfa nutritiva della loro esistenza». Ne risulta una perdita dell’autorità di chi insegna: «negli ambiti scolastico ed accademico, l’autorità degli insegnanti e dei professori è messa in discussione». Colpa dei contesti, certo, ma qualche volta anche degli insegnanti: «la competenza di alcuni di loro non è esente da parzialità cognitiva e da carenza antropologica, escludendo o limitando così la verità sulla persona umana».

Affrontare la crisi dell’educazione significa tornare alla verità sull’uomo, che «è un essere integrale e non una somma di elementi che si possono isolare e manipolare a proprio piacimento». Questa verità, purtroppo non è riaffermata, in un mondo dove «la scuola e l’università sembrano essere divenute incapaci di progetti creativi che rechino in sé una teleologia trascendentale in grado di sedurre i giovani nel loro essere profondo».

Ma anche qui il giudizio del Pontefice è equilibrato. Se la scuola e gli insegnanti hanno le loro colpe, ce le hanno anche gli allievi, i giovani: spesso sembra che essi, «pur essendo preoccupati per il loro futuro, siano tentati dallo sforzo minore, dal minimo sufficiente e dal successo facile, utilizzando talvolta in modo inappropriato le possibilità offerte dalla tecnologia contemporanea. Molti vorrebbero aver successo e ottenere rapidamente uno status sociale e professionale importante, disinteressandosi della formazione, delle competenze e dell’esperienza richieste».

La crisi dei giovani è al tempo stesso crisi degli adulti. «Il mondo attuale e gli adulti responsabili non hanno saputo dare loro i necessari punti di riferimento». E la crisi dell’educazione ha molto a che fare con la crisi globale internazionale. «La disfunzione di alcune istituzioni e di alcuni servizi pubblici e privati non potrebbe essere spiegata da un’educazione mal garantita e male assimilata?».

Benedetto XVI cita un autore su cui – per la verità senza trovare grande ascolto – ha spesso richiamato l’attenzione, Papa Leone XIII (1810-1903), il quale insegnava «che la vera dignità e grandezza dell’uomo è tutta morale, ossia riposta nella virtù; che la virtù è patrimonio comune, conseguibile ugualmente dai grandi e dai piccoli, dai ricchi e dai proletari» (Rerum novarum, n. 20).

La crisi dell’educazione si può risolvere dunque solo «grazie alla promozione di una sana antropologia, base indispensabile per ogni educazione autentica, e conforme al patrimonio naturale comune».

Non è facile, perché «talune opzioni politiche o economiche possono erodere subdolamente i patrimoni antropologici e spirituali», anche dove «questi sono passati al vaglio dei secoli e si sono pazientemente costituiti su basi che rispettano l’essenza della persona umana nella sua realtà plurale, restando nel contempo in perfetta sintonia con l’insieme del cosmo».

Ma «il diritto a un’educazione ai giusti valori non deve mai essere negato né dimenticato. Il dovere di educare a tali valori non deve essere mai impedito o indebolito da qualsivoglia interesse politico nazionale o sovrannazionale. È pertanto necessario educare nella verità e alla verità».

Oggi a chi osa proporre queste tematiche il mondo oppone la domanda di Pilato: «che cos’è la verità?» (Gv 18, 38). E i tempi sono peggiori di quelli di Pilato. «Ai giorni nostri, dire il vero è divenuto sospetto, voler vivere nella verità sembra superato e promuoverla sembra essere uno sforzo vano». Eppure, «il futuro dell’umanità si trova anche nel rapporto dei bambini e dei giovani con la verità: la verità sull’uomo, la verità sul creato, la verità sulle istituzioni, e così via». Solo un’educazione alla verità è al tempo stesso educazione alla morale per i giovani. «Occorre insegnare loro che ogni atto che la persona umana compie deve essere responsabile e coerente con il suo desiderio d’infinito, e che tale atto accompagna la sua crescita in vista della formazione a un’umanità sempre più fraterna e libera da tentazioni individualiste e materialiste».

Tra tutte queste difficoltà, una testimonianza alla verità è spesso ancora resa dalla scuola cattolica. Ma occorre che i governanti sappiano e vogliano «permettere alla Chiesa di occuparsi liberamente dei suoi ambiti di attività tradizionali che, come voi sapete, contribuiscono allo sviluppo dei vostri Paesi e al bene comune». Gli ostacoli posti alle scuole cattoliche sono un pessimo segnale, di scarsa consapevolezza della gravità della crisi educativa, o d’illusione che questa si possa risolvere impartendo nozioni meramente tecniche, impregnate di quelle che il Papa chiama «parzialità cognitiva» e «carenza antropologica».

 

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