Eterologa e adozioni gay: il vescovo contro i giudici

  05-09-2014 

di Massimo Introvigne 

 

L’arcidiocesi di Torino ha anticipato l’intervista all’arcivescovo mons. Cesare Nosiglia che apparirà sul numero del 7 settembre 2014 del settimanale diocesano La Voce del Popolo. L’Arcivescovo di Torino, come aveva già fatto in occasione di eventi simili in passato, fa sentire la sua voce in modo chiaro e coraggioso contro le invasioni di campo della magistratura in tema di fecondazione artificiale e di adozioni omosessuali. E lo fa senza timore di precisare, in tema di fecondazione artificiale, che la Chiesa considera inaccettabile anche la sua versione omologa: e tanto più quella eterologa, che ora i giudici hanno sdoganato.

«Si direbbe», afferma l’arcivescovo, «che in Italia le questioni di rilevanza bioetica vengano gestite nei tribunali anziché nelle appropriate sedi legislative». Dopo la sentenza della Corte Costituzionale che ha aperto le porte alla fecondazione artificiale eterologa è doveroso, precisa il prelato, che almeno «al più presto vengano date norme sicure che regolamentino la questione su tutto il territorio nazionale per evitare il far west, le derive eugenetiche e l'instaurarsi di un subdolo mercato procreativo animato dalla “patologia del desiderio” e dalla logica del figlio a tutti i costi». Ma soprattutto occorre ricordare che «la generazione di una persona non può essere confusa con la produzione di un oggetto fatto a dimensione dei propri bisogni e della propria insaziata sete di genitorialità».

Opportunamente, Nosiglia ricorda che «il magistero della Chiesa è intervenuto più volte sul problema della procreazione medicalmente assistita» e cita due documenti della Congregazione per la Dottrina della Fede, le istruzioni Donum vitae (1987) e Dignitas personae (2008). Da queste si ricava il no della Chiesa alla fecondazione artificiale in genere, posto che il figlio non può mai essere considerato «come il prodotto di un intervento di tecniche mediche e biologiche: ciò equivarrebbe a ridurlo a diventare l'oggetto di una tecnologia scientifica. Nessuno può sottoporre la venuta al mondo di un bambino a delle condizioni di efficienza tecnica valutabili secondo parametri di controllo e di dominio». «Questa osservazione», precisa l’arcivescovo, «vale già per la fecondazione omologa, cioè per la procreazione artificiale realizzata con i gameti dei coniugi». No, dunque, anche all’omologa. Ma «a maggior ragione», insiste l’arcivescovo, il no della Chiesa «risulta ineludibile per la fecondazione eterologa, ottenuta mediante l'incontro di gameti di almeno un donatore estraneo alla coppia. Così si priva il nascituro della relazione filiale con le sue origini parentali e c'è il rischio di ostacolare la maturazione della sua identità personale».

Ma le coppie che non possono avere figli, si obietta, soffrono: e questa, ammette il prelato, «è una sofferenza che tutti debbono comprendere e adeguatamente considerare. Da parte degli sposi il desiderio di un figlio è naturale: esprime la vocazione alla paternità e alla maternità inscritta nell'amore coniugale». Ma questo non toglie che «il figlio non è qualche cosa di dovuto e non può essere considerato come oggetto di proprietà»; «non esiste, come invece si vorrebbe far credere, un “diritto al figlio”». Che fare, allora? Piuttosto che puntare sulla fecondazione artificiale occorrerebbe, secondo Nosiglia, «favorire maggiormente le adozioni» anche perché «la coppia adottante vive al suo interno la stessa situazione genitoriale. Al contrario se una coppia ricorre all'eterologa quando solo uno dei due partner è sterile, si rischia di creare, con l'intrusione del terzo (il donatore), un grave disagio psicologico in chi non ha capacità generative: un disagio che potrebbe nel tempo compromettere la serena crescita anche del figlio».

La seconda invasione di campo della magistratura ha portato all’affermazione secondo cui due donne omosessuali hanno diritto ad adottare un figlio. «Bisognerà adeguare il detto, antico come il mondo», si chiede ironicamente l’arcivescovo, «che di mamma ce n’è una sola? Credo di no e nessun giudice potrà mai cambiare questo fatto naturale e indiscutibile». La sentenza che ha permesso questo tipo di adozione, afferma Nosiglia, «è preoccupante sotto due profili: quello giuridico perché la magistratura dovrebbe applicare le leggi non sostituirsi ad esse. In secondo luogo questa sentenza non tiene in alcun conto il diritto primario di un bambino di rapportarsi nella sua crescita a un padre e una madre, soggetti insostituibili nella vita di un figlio. Ogni uomo ha il diritto di conoscere e rapportarsi con chi lo ha generato e fino a prova contraria la generazione esige l’apporto determinante di un uomo e di una donna».

La domanda da porre ai giudici, secondo l’arcivescovo, è la stessa, che si tratti di fecondazione artificiale o di adozioni da parte di coppie omosessuali: «se ogni desiderio pure legittimo di una persona debba trovare accoglienza e riconoscimento sia giuridico, sia legislativo a scapito di altri diritti (non desideri) primo tra tutti quelli di un bambino che non è un prodotto da comprare, vendere, possedere e manovrare come un oggetto a proprio piacimento». Nosiglia si augura che il Convegno ecclesiale di Firenze del 2015, trattando dei diversi modelli di umanesimo presenti nella società italiana, possa denunciare questi «aspetti problematici e devastanti perché lesivi spesso della integrità dell’essere uomo nelle sue radici naturali e sociali. È una cultura succube dell'individualismo, attenta sempre ai diritti e mai ai doveri». Più in generale, «occorre che la famiglia sia promossa nella sua identità naturale e sociale. La precarietà anche culturale di cui è fatta oggetto la indebolisce sempre più nelle sue vitali funzioni di cardine del futuro della società». «C’è bisogno», conclude l’arcivescovo di Torino, «di spezzare le catene di individualismi, che rappresentano un costo sociale altissimo e non producono alcun ritorno positivo sulla comunità nel suo insieme».

 

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