“Francesco vuole comunicare la vicinanza di Dio ad ogni uomo”

23/06/2013 

Papa Francesc o

PAPA FRANCESCO

Intervista a Padre Antonio Spadaro, direttore del quindicinale La Civiltà Cattolica

ALESSANDRO SPECIALE
ROMA

Con il raggiungimento del termine simbolico dei '100 giorni', si sono moltiplicati i bilanci e le messe a punto sui primi mesi del pontificato di papa Francesco. Vatican Insider ne ha parlato con padre Antonio Spadaro, gesuita come il pontefice, direttore del quindicinale Civiltà Cattolica che sin dalla sua nascita nell'Ottocento viene pubblicato con l'imprimatur della Segreteria di Stato vaticano.

Spadaro ha incontrato Francesco, insieme con gli altri scrittori della rivista, venerdì 14 giugno e in quell'occasione il pontefice argentino ha invitato a “essere duri contro le ipocrisie frutto di un cuore chiuso, malato. Duri contro questa malattia”. “Ma il vostro compito principale non è di costruire muri ma ponti – ha aggiunto –; è quello di stabilire un dialogo con tutti gli uomini, anche con coloro che non condividono la fede cristiana ma 'hanno il culto di alti valori umani', e perfino 'con coloro che si oppongono alla Chiesa e la perseguitano in varie maniere'”.

Padre Antonio, cosa ti ha colpito di più di papa Francesco in questi primi mesi di pontificato?

“Ha una grande carica umana, la capacità di passare, attraverso gesti molto significativi, dei contenuti molto forti. Francesco riesce ad esprimere con i suoi gesti contenuti teologicamente molto densi grazie alla sua esperienza di pastore ma anche di governo, prima del suo ordine come provinciale e poi di una diocesi come vescovo, e la sua esperienza di vicinanza con le persone ai margini, di dialogo con le persone anche in situazioni difficili.

E il fatto che sia un gesuita ha avuto una qualche influenza?

“Mi ha colpito la sua spiritualità ignaziana. Chi come me è stato formato in questa spiritualità la può avvertire con chiarezza. Credo che la sua formazione gesuitica abbia formato non solamente la sua visione della realtà ma anche il suo modo di parlare e di articolare i temi, il suo modo di strutturare discorsi in tre parole – un ritmo che da sempre scandisce la retorica ignaziana”.

Come descriveresti lo stile di governo messo in atto fino ad oggi da papa Francesco? Fino ad oggi, in senso stretto, non ha 'fatto' molto da questo punto di vista.

“Il papa ora vuole entrare in contatto con il popolo di Dio. È in una fase in cui ascolta e incontra molte persone, una fase che lo aiuta a riflettere. Giudicare la sua capacità di azione limitandosi a questa fase non sarebbe corretto. I suoi gesti sono già delle decisioni, parlano in modo molto significativo. Il suo approccio al governo è un approccio graduale che comporta l’ascoltare tutti, ricevendo le informazioni utili per prendere le decisioni necessarie. Questo però non vuol dire che non saprà decidere quando sarà il momento: la sua storia di superiore dei gesuiti in Argentina ci dice con chiarezza che è un uomo di decisioni sì, ma non affrettate. Essendo stato superiore nella Compagnia di Gesù, ha appreso ad assumersi le sue responsabilità e a decidere direttamente, non attraverso un organismo collegiale come un capitolo, ma sempre dopo aver ascoltato un gruppo di consultori. Siamo in una fase di consultazione, non di decisioni improvvise.

Prima delle dimissione di Benedetto XVI si parlava di Chiesa in crisi. Ora questi timori sono scomparsi…

“Ogni pontificato ha le sue caratteristiche e bisogna evitare di pensare in termini di “prima” e di “dopo”. Benedetto e Francesco hanno colto i segni di una fatica. L’attuale pontefice sta facendo percepire la dimensione della prossimità, della vicinanza, alle persone. Il contenuto fondamentale del suo pontificato, ad oggi, è quello della misericordia di Dio a 'tutti i costi', per così dire, anche nei luoghi lontani, anche a chi dispera di questa misericordia. Francesco vuole comunicare la vicinanza di Dio ad ogni uomo. Questo messaggio finora sembra ricevuto molto bene”.

Quando sono diversi questi due papi? Si può parlare di 'svolta'?

“Francesco sta rispondendo esattamente a quelle sfide che Benedetto aveva posto quando ha annunciato la sua rinuncia. Benedetto, annunciando le sue dimissioni, aveva detto che al papa oggi serve un maggiore 'vigore sia del corpo, sia dell’animo', in un mondo 'soggetto a rapidi mutamenti e agitato da questioni di grande rilevanza per la vita della fede'. Questa necessità provata e dichiarata da Benedetto è stata raccolta da Francesco. Non si tratta tanto di un cambio quanto di un passaggio di testimone. Le sfide rimangono le stesse, ma cambiano gli accenti in accordo all'esperienza personale di ciascun pontefice. Con Francesco l'accento è sulle periferie e questo mi sembra il punto centrale del suo messaggio: evitare l'autoreferenzialità – la Chiesa è chiamata a essere missionaria, a stare per strada, anche a costo di sbagliare.

 
Precedente Lombardi: "Non ci sono segreti da rivelare da parte del Vaticano" Successivo La Polonia freme per la canonizzazione di Wojtyla