Giappone, la Chiesa riparte dall’impegno per la pace

30/08/2014 

Giappone, la Chiesa riparte dall'impegno per la pace

 

Cristiani in Giappone

CRISTIANI IN GIAPPONE

La “Pacem in terris" diventa la magna charta per i cristiani: no a cambiare la Costituzione in senso militarista

PAOLO AFFATATO
ROMA

La Chiesa giapponese si compatta su due coordinate essenziali all'evangelizzazione del paese: il dialogo e la pace. Memore del disastro atomico di Hiroshima e Nagasaki, scottata dal recente evento di Fukushima, ispirata dalla visita di papa Francesco in Corea, la comunità cristiana in Giappone valorizza due asset fondamentali per la sua presenza nella nazione del Sol Levante: il dialogo tra religioni come parte integrante della missione della Chiesa; il tema della pace e del disarmo, che oggi impregna il dibattito pubblico e vede i cristiani uniti nel rifiutare la modifica della Costituzione in senso militarista. Rilanciando l’enciclica “Pacem in terris" come “magna charta” per i fedeli nipponici.
 
Reduce da una missione in Giappone, Indunil Kodithuwakku, sottosegretario del Pontificio Consiglio per il Dialogo interreligioso, racconta a Vatican Insider come il disastro atomico di Hiroshima e Nagasaki sia tuttora indelebile nella memoria popolare: “Ci si commuove ancora al ricordo delle oltre 80mila vittime civili a Hiroshima e delle 75mila della seconda bomba, senza dimenticare gli hibakusha (persone esposte alle radiazioni atomiche) che portano ancora i segni di quelle due tenebrose mattine”.
 
“Eppure – prosegue il funzionario vaticano – il popolo giapponese non ha mai chiesto vendetta o ritorsioni. Fin dal 1946, l’anno successivo alla catastrofe, un Paese compatto nel suo immenso dolore si dà appuntamento nei luoghi dei rispettivi epicentri per onorare le vittime e per ricordare al mondo che nulla è perduto con la pace, tutto può esserlo con la guerra”.
 
I rappresentati delle diverse religioni, nel coltivare forum di incontro, “sono uniti nel convinto impegno per la pace”, nota. Conferenze interreligiose, che uniscono shintoisti, buddisti e cristiani, “sono tra i promotori più attivi di questi anniversari”. Ed è ormai tradizione che, a Hiroshima e Nagasaki, momenti di preghiera ecumenica e interreligiosa affianchino le cerimonie civili promosse dalle rispettive municipalità.
 
Don Kodithuwakku, dopo la missione in Giappone, dove ha intessuto contatti con i leader di altre fedi, spiega: “L’unanime appello di pace che si alza dal Giappone è un segno di speranza e un monito alla coscienza internazionale: pace e riconciliazione sono possibili là dove, pur nelle legittime differenze, le religioni sanno educare al rispetto, alla pace, alla ricerca del bene comune”.
 
Sulla pace la Chiesa nipponica concentra oggi le sue energie migliori. Il presidente della Conferenza episcopale, l'arcivescovo di Tokyo Pietro Takeo Okada, ha diffuso il messaggio annuale dei vescovi dal titolo “Diveniamo costruttori di pace per il futuro, riflettendo sul nostro passato”.
 
E, a cinquant’anni dalla sua pubblicazione, l’enciclica “Pacem in terris”, rivolta da papa Giovanni XXIII a tutti gli uomini di buona volontà, sta vivendo in Giappone una “seconda giovinezza”. Una nuova traduzione del testo, preparata dalla Commissione episcopale per le questioni sociali, circola nelle diocesi, in associazioni, movimenti e comunità, destando forte interesse anche tra i non cristiani. “L’Enciclica è un pilastro per costruire la pace nel mondo e rappresenta uno spunto di riflessione utilissimo”, ha spiegato Okada.
 
Soprattutto mentre nella società nipponica ferve il dibattito sulla revisione dell'articolo 9 della Costituzione – scritta all’indomani della “Grande guerra” – che impone al paese di non avere un esercito offensivo ma solo “truppe di autodifesa”. Il premier Shinzo Abe e settori della società e della politica vogliono modificarlo, consentendo al Paese di tornare a dotarsi di un esercito di aggressione.
 
Okada è chiaro: “L’art. 9 è un tesoro di cui il Giappone va orgoglioso. Rispecchia l’insegnamento di Gesù Cristo sull'amore. Grazie a questo approccio, il Giappone non ha mai ucciso nessuno in guerra e nessun cittadino giapponese ha perso la vita in un conflitto. È nostra responsabilità fare il possibile per preservarlo”.
 
Secondo i vescovi, “modificando l’art.9, ci sarà il rischio di aumentare la tensione militare in Asia, soprattutto con la Cina e la Corea del Nord, con una conseguente corsa alla militarizzazione”. Inoltre, afferma una nota ufficiale inviata dall’episcopato al governo, “la sicurezza nazionale non si garantisca col rafforzamento militare. La pace si costruisce sul rispetto della dignità di tutti gli esseri viventi. La pace può nascere solo con una riflessione sincera sulla storia, con le scuse e il perdono per ciò che è stato fatto in passato. I conflitti armati si possano evitare grazie al dialogo e ai negoziati”.
 
Su questo fronte la Chiesa giapponese insisterà, affiancata dalle altre fedi, nella convinzione che “la maggior parte della popolazione sostiene e condivide una Costituzione non-violenta”.

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