“I Papi si succedono, Cristo rimane”

21/02/2013 
Benedetto XVI

BENEDETTO XVI

La divinizzazione della figura del pontefice nell’analisi del teologo-giornalista

GIANNI GENNARI
ROMA

“I fedeli turbati dalla rinuncia di Benedetto”: questo il messaggio che in questi giorni torna spesso in onda. Si parla del senso di smarrimento per la perdita di un “padre”, o di una luce che indica il cammino…Qualcuno può credere che al centro della fede cristiana ci sia il Papa, e la sua rinuncia sia come una perdita di equilibrio, che “turba” i cattolici…

Ma è vero? Va detto che se è un fatto, allora è un fatto davvero strano, stando alla storia, e vale la pena di pensarci, anche in ascolto di una singolare lezione che ci sorprenderà. Dunque Benedetto XVI ha rinunciato, e un commento può essere questo proclama: “Meno Papi, più Cristo”.

Una voce del cosiddetto “dissenso” cattolico? Vedremo che no. Ma vale la pena di tornare indietro e ragionare un po’. Vero che da circa 60 anni sociologi illustri hanno vaticinato una “società senza padri”, e che questo vaticinio si è a poco a poco verificato davvero, con la perdita di autorità degli uomini maschi, e in particolare dei padri, in tanti sensi… Anche quando un Papa moriva poteva succedere che qualcuno, o anche tanti, si  sentissero smarriti, come orfani, e quindi “turbati”. La cosa capitò in particolare quando al mattino del 29 settembre 1978 arrivò via radio, nel Gr Rai delle 7 e 30, l’annuncio della morte di Giovanni Paolo I. Collaboravo allora – erano i miei inizi da “giornalista” – con il Gr diretto da Sergio Zavoli e il vaticanista del tempo, l’amico Gregorio Donato, poi prematuramente scomparso, mi convocò d’urgenza. Così già al Gr delle 8 mi trovai a commentare l’evento…

Sgomentato anch’io? Fino ad un certo punto, perché per ragioni personali la notizia l’avevo avuta direttamente dall’interno del Vaticano ancora prima delle 7, e perciò avevo – come dire? – già superato la prima emozione. E allora che mi venne spontaneo, in diretta radio, ricordare che per chi crede la Chiesa la regge Gesù Cristo, e che i Papi nella storia sono già stati tanti, anche molto diversi tra loro, nel bene e talvolta anche nel male, e forse anche per questo il popolo romano ha da secoli un commento secco come questo. Che citai interamente: “Morto un Papa se ne fa un altro!”

Successe il finimondo! La Rai fu assalita da una catena di proteste e il giorno dopo sul “Corriere della Sera” addirittura il grande Goffredo Parise protestò per il “cinismo” di quella citazione. Mi toccò, un paio di giorni dopo, spiegare in replica sullo stesso giornale il senso di quella citazione, nelle mie intenzioni per nulla cinico, ma solidamente basato sulla fede…Non so se Parise si sia convinto…

Dunque i Papi si succedono, ma Cristo rimane…Questo dovrebbe essere il vero sentimento di tutti i credenti cattolici, e invece nella storia si è data realmente una specie di centralizzazione anche ideale di tutta la Chiesa nella persona del Papa…Anche il dogma della infallibilità papale, definito nel 1870, ha forse portato a molti eccessi verificati nel corso dei decenni, come se ogni parola del Papa fosse indiscutibile, ogni opinione papale verità di fede…Non è così, e tra coloro che nel tempo recente hanno messo in chiaro che non è così eccelle proprio il teologo Joseph Ratzinger: nelle sue opere degli anni ’70 ci sono affermazioni, precise e chiarissime, sulla possibilità e anzi sul “dovere” di critica rispettosa e seria anche nei confronti di “pronunciamenti” papali quando in essi non si verificano le condizioni della infallibilità stessa. Del resto dal punto di vista dottrinale la fede cattolica insegna che l’infallibilità “in credendo” è della Chiesa intera come tale, e in circostanze ben precise, con limiti chiarissimi imposti nello stesso testo della definizione del Vaticano I, essa è “appropriata” ai pronunciamenti “ex cathedra” del papa, che del resto sono rarissimi. Dopo il 1870 solo il caso dell’Assunzione di Maria (1 novembre 1950, Pio XII)…

Eppure si potrebbe dire che anche tentativi, teologici, culturali, di chiarire, di spiegare che in fin dei conti anche il Papa è soltanto un uomo sono stati come vani, e la figura del Papa è diventata come una specie di divinità. Basterebbe ricordare un verso famoso del Belli, in un sonetto intitolato proprio “La successione”, tutto da leggere. Ecco l’inizio: “Er Papa, er viceddìo, nostro Signore”…Esattamente così, ma la realtà piena della fede è questa: nessuna divinizzazione del Successore di Pietro, un uomo come noi. Del resto un uomo come fu anche il Signore Gesù, per sua natura anche Dio, che dette a Pietro, solo “uomo”, il ruolo di “pietra” su cui ha fondato la sua Chiesa…

Per questo aspetto, centrale anche in questi giorni, resta indimenticabile e fondamentale anche la bellissima professione di fede, perfettamente teologica, con cui Papa Giovanni alla sera del celebre discorso della Luna ebbe a dire con la sua voce che pareva cantasse la gioia del momento: “La mia persona conta niente, è un fratello, diventato padre…” L’affermazione di un ufficio paterno, vero, e insieme di una umanità fraterna, con i suoi limiti di natura umana…

E anche Benedetto XVI disse subito che era, e si sentiva, solo “un umile lavoratore nella vigna del Signore”. Egli ora ha creduto, nella sua lucida libertà, di aver condotto a termine quel suo specifico “lavoro” nella vigna, di cui egli continua a fare parte…

Ha detto anche che talora questa vigna, la Chiesa, Chiesa di Cristo che è anche, ma diversamente, del Papa, può apparire “deturpata”: non ha certamente detto che essa non è più la Chiesa…Vanno corretti i segni che la deturpano, va curata la malattia che segna il suo volto visibile, vanno eliminate “le sporcizie” di cui egli stesso aveva lamentato la presenza nel suo celebre discorso prima del Conclave dell’aprile 2005, che lo elesse Papa…Ha sempre detto, lui, anche prima di essere Papa, che non era un “rivoluzionario”, ma un “riformista”. Resta famoso un suo intervento su “La Croix” (28/12/2001) con questa autodefinizione…

Dunque il “turbamento” vero e proprio dei cattolici non ha senso, se visto alla luce di Cristo e della fede cristiana integrale. Senza alcun cinismo: “morto un Papa” – o anche “se un Papa annuncia la sua rinuncia” – se ne elegge un altro, nella certezza che il vero e unico fondamento della Chiesa, deturpata o splendida che appaia, è Gesù Cristo…

E allora vale la pena di tornare a quelle parole iniziali: “Più Cristo, meno Papi”. Chi le ha dette? O piuttosto chi le ha scritte?

La storia è semplice, e sorprendente. Ho tra le mani un foglio di una notissima rivista cattolica, anzi cattolicissima, “Settimana del Clero”, n. 44, datata 26 novembre 1978, ove a p. 2 si racconta che il P. Aurelio Boschini, all’epoca vice assistente nazionale delle Acli, preparò una pubblicazione che raccontava l’incontro di Paolo VI con gli operai, nel febbraio del 1965, nel quartiere Pietralata, di Roma, e per scrupolo fece avere le bozze direttamente al Papa, che gliele restituì intatte, ma con questo commento deciso scritto a mano in margine: “Più Cristo, meno Papi!”

Non credo sia irrispettoso del Papa, da Paolo VI fino ad oggi, a proposito del “turbamento” di molti, ricordare anche questo monito papale…Per avere il senso della realtà effettiva del momento particolare che stiamo vivendo…In attesa del Successore di Benedetto, “benedetto” in anticipo nella fede di tanti, che sanno bene, e desiderano che ci sia sempre “più Cristo”, anche nella presenza dei Papi futuri…

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