Il buon prete fa la buona parrocchia

di Piero Gheddo26-06-2013

da La nuova Bussola Quotidiana

Quand’ero giovane, in seminario a Vercelli ci dicevano: “Il buon prete fa la buona parrocchia” e questo detto di sapienza popolare trova conferma quando ne muore uno. Alcuni mesi fa è mancato il caro don Guido (chiamiamolo così) che conoscevo perché sono sessant’anni che visito le parrocchie specialmente della Lombardia, ma non solo. In questi giorni mi telefona una signora amica di quel paese, anzi cittadina, e mi richiama alla mente don Guido. Ecco cosa mi dice:

“Don Guido è stato nostro viceparroco solo per 18 anni dal 1966 al 1984, poi è andato in altre parrocchie. Ma nella nostra città ha formato schiere di giovani, di ragazze e di buone famiglie, che adesso, trent’anni dopo, sono accorsi in massa anche da lontano, per dargli l’ultimo saluto. Li avesse visti, erano tanti, mariti, mogli e bambini, erano trent’anni che non ci vedevamo e tutti dicevano: “Sono i figli di don Guido” e lì a ricordare “i nostri tempi”, quelli appunto di don Guido. Hanno portato gioia e un’armonia straordinaria nel ricordo di quell’indimenticabile prete morto a 72 anni, che soffriva di asma, aveva difficoltà di respirazione e di parola, infatti era di pochissime parole. Poteva essere un prete chiuso in se stesso, lamentoso e pessimista, invece era un santo e ha dato un’impronta di vita cristiana a molti e al paese stesso”.

Ricordavo confusamente che quando don Guido era arrivato in quella parrocchia era successa una mezza rivoluzione, ne avevano parlato anche i giornali. Chiedo alla signora cos’era successo: “Don Guido – continua l’amica – è venuto da noi in una situazione molto difficile. il parroco di allora aveva cacciato via malamente il prete dell’oratorio, un sacerdote giovane che capiva che i tempi stavano cambiando e voleva fare qualcosa di nuovo. Il vecchio parroco, che certamente ha fatto molto anche lui, ma era un carattere forte e non facile, non vedeva bene quello che gli altri facevano di diverso da quel che aveva fatto lui. E l’ha mandato via in modo brusco. Per cui, quando don Guido è venuto a sostituirlo, in oratorio si è trovato davanti ad un muro di ragazzi amici del don di prima che non l’hanno accolto bene, anzi, l’hanno rifiutato e gli hanno detto: “Lei qui in oratorio  non entra!”.

“L’oratorio è lontano dalla parrocchia e l’avevano occupato i giovani amici del don che era stato mandato via, com’era di moda a quei tempi. Ci sono stati tafferugli e anche un ferito. Siamo finiti sui giornali. Don Guido ha semplicemente detto: “Mi spiace, però io sono stato mandato dal vescovo come prete dell’oratorio. Se mi volete bene, se non mi volete, aspetto che voi cambiate opinione”. I giovani sono rimasti spiazzati, perché pensavano di “fare la lotta” come succedeva a quei tempi. Invece don Guido è andato ad abitare nell’appartamento del prete dell’oratorio e ha detto: “Io sono qui, aspetto che veniate voi a cercarmi ed a chiamarmi”.

 “L’oratorio è rimasto vuoto per 4-5 mesi, poi a poco a poco sono tornati, perché avevano visto che don Guido era un uomo di Dio. Ma lui ha dovuto ricominciare da capo. Parlava poco, ma sapeva ascoltare. Faceva scuola al mattino e poi lo cercavi e c’era sempre, non sapevi dov’era e lui era in chiesa ad aspettare. Una meraviglia. Oggi i preti sono presi da troppe cose, non possono più dare un formazione profonda, fare direzione spirituale. Per le confessioni lo trovavi sempre là. Celebrava la Messa, faceva scuola e poi si metteva di fianco al suo confessionale e aspettava. In quei tempi di grande confusione, noi giovani avevamo molti problemi. Andavamo da lui, ci lasciava parlare, poi ci faceva leggere una pagina del Vangelo dove Gesù rispondeva alle nostre domande. Si rimaneva spiazzati, perché si pensava di trovare un prete che dicesse: “Avete ragione, questo parroco non capisce niente!” e invece portava il discorso su un piano superiore, che non potevi dargli torto. Quando noi ci lamentavamo del parroco e di altre cose che non ci parevano giuste, lui diceva: “Ma allora voi non capite niente. Per restare nella comunità, nella Chiesa, bisogna imparare a soffrire, a sopportare”.

“E pensare – continua la cara amica che si commuove raccontando – che quel parroco, che agiva secondo il suo carattere e modo di fare, riteneva don Guido un debole che valeva poco o niente e glie lo diceva davanti a tutti. E lui incassava col suo sorriso, al massimo diceva: “Se lo dice lei…”. Questi atteggiamenti ci hanno fatto crescere nella fede e nella vita cristiana. Ci hanno maturati. Non è che il vecchio parroco valesse poco, anche come prete ha fatto molto e non si può dirgli niente, anzi nel nostro paese ha realizzato molte buone cose. Solo che aveva il suo carattere e agiva secondo quel caratteraccio (“Il parroco sono io!” e basta) e c’erano anche i fedeli che lo apprezzavano. Ma don Guido noi lo preghiamo come un santo ed è morto in concetto di santità, anche perchè negli ultimi due anni ha sofferto molto, non si lamentava mai e aveva sempre il suo sorriso sul volto”.

Precedente 26 giugno. Da: I Quaderni del 1943 di Maria Valtorta Successivo 27 giugno. Da: I Quaderni del 1943 di Maria Valtorta