Il dialogo impossibile con Antonio Socci

12 agosto 2014

di Massimo Introvigne

 

Oggi su "Libero Quotidiano" il mio scambio con Socci. Antonio è una cara persona e merita rispetto perché ne ha passate tante nella vita, ma chi legge si accorge che il dialogo con Socci e i nemici del Papa ormai è più difficile di quello con i musulmani. Perché continuano a ripetere come un mantra che il sottoscritto e altri "normalisti" vogliono "dimostrare quotidianamente, con spericolate operazioni linguistiche, che le cose che dice Francesco sono le stesse che hanno insegnato Benedetto XVI, Giovanni Paolo II e Paolo VI". Fortunatamente sullo stesso giornale e stessa pagina chiunque può leggere che, per la centesima volta, spiego a Socci e a chi la pensa come Socci che la mia posizione non è affatto questa. Io penso che su alcuni punti (non su tutti ovviamente) "le cose che dice Francesco" siano MOLTO DIVERSE da quelle che dicevano i suoi predecessori, così come su alcuni punti le cose che diceva il venerabile Paolo VI erano diverse da quelle che diceva il venerabile Pio XII, e le cose che diceva Benedetto XVI erano diverse da quelle del venerabile Paolo VI. Anche le cose che ha insegnato il Concilio Ecumenico Vaticano II su alcuni punti erano diverse da quello che era stato insegnato prima. Il mio punto è che – se uno capisce bene la lezione di Benedetto XVI sulla "ermeneutica della riforma nella continuità" – la Chiesa ci invita a prendere atto che precede nella storia attraverso riforme, talora radicali e anche dolorose per qualcuno, e che queste riforme vanno accettate lealmente, sforzandosi però sempre di interpretarle nella continuità storica dell'unico soggetto Chiesa. Benedetto XVI ha fatto applicazione di questo metodo nel discorso del 14 febbraio 2013 ai parroci romani. Spiegò che l'"alleanza renana" fra teologi francesi, tedeschi e olandesi al Concilio introdusse radicali novità. Raccontò di essere stato uno dei leader al Concilio dell'"alleanza renana", e di non vergognarsene affatto. Invitò ad accogliere lealmente tali novità – in effetti, molto radicali rispetto a modi precedenti di presentare la dottrina cattolica su punti cruciali – interpretandole però nella continuità di una stessa Chiesa che avanza nella storia e non come rottura. Benedetto XVI con quel discorso non disse affatto che il Concilio aveva insegnato "le stesse cose" del Magistero precedente e rivendicò il ruolo suo e dell'"alleanza renana" nell'introdurre novità. Invitò solo a non considerare le novità come rotture ma a leggerle, anche quando questo è difficile, nella continuità. Così io NON sostengo che Papa Francesco insegna "le stesse cose" del Magistero precedente, meno che mai nello stesso modo. Riconosco le novità, ne attendo anche altre, che accoglierò accettando lealmente le riforme e leggendole nel segno della continuità. Chi non accetta questo metodo non può trincerarsi dietro Benedetto XVI. Perché l'"ermeneutica della riforma nella continuità" è questa, e non autorizza nessuno a rifiutare la riforma in nome della continuità. E certamente non autorizza nessuno a falsificare le posizioni mie e di chi la pensa come me facendoci dire che "non è cambiato niente" rispetto ai Papi che hanno preceduto Francesco. Sono cambiate tantissime cose, accade spesso nella Chiesa, e i cambiamenti vanno accolti interpretandoli con un'ermeneutica cattolica che tenga ferma, accanto alla riforma, anche (ma non "solo") la continuità

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