Il Papa, le donne e la tentazione clericale

30/11/2013 
 
Francesco

 

FRANCESCO

 

I paragrafi dell'«Evangelii gaudium» che ribadiscono il no al sacerdozio femminile ma chiedono che l'ordine sacro sia vissuto come un servizio, non un potere

ANDREA TORNIELLI
CITTÀ DEL VATICANO

 
Alcuni paragrafi dell'esortazione apostolica «Evangelii gaudium» sono illuminanti per comprendere che cosa intenda il Papa  quando parla di valorizzazione della donna nella Chiesa e al contempo mostrano quanto lontana sia dalla visione di Bergoglio la stravagante e clericalissima idea di creare delle donne cardinale. Francesco non si limita a ribadire il no al sacerdozio femminile, rinnovato da Giovanni Paolo II con la lettera apostolica «Ordinatio sacerdotalis» nel maggio 1994, uno dei documenti più brevi e densi del suo pontificato, ma aggiunge delle riflessioni in merito al servizio e al potere.

Innanzitutto, Francesco scrive che «la Chiesa riconosce l’indispensabile apporto della donna nella società, con una sensibilità, un’intuizione e certe capacità peculiari che sono solitamente più proprie delle donne che degli uomini. Ad esempio, la speciale attenzione femminile verso gli altri, che si esprime in modo particolare, anche se non esclusivo, nella maternità».

«Vedo con piacere – aggiunge il Papa – come molte donne condividono responsabilità pastorali insieme con i sacerdoti, danno il loro contributo per l’accompagnamento di persone, di famiglie o di gruppi ed offrono nuovi apporti alla riflessione teologica. Ma c’è ancora bisogno di allargare gli spazi per una presenza femminile più incisiva nella Chiesa. Perché il genio femminile è necessario in tutte le espressioni della vita sociale; per tale motivo si deve garantire la presenza delle donne anche nell’ambito lavorativo e nei diversi luoghi dove vengono prese le decisioni importanti, tanto nella Chiesa come nelle strutture sociali».

«Le rivendicazioni dei legittimi diritti delle donne – afferma Francesco – a partire dalla ferma convinzione che uomini e donne hanno la medesima dignità, pongono alla Chiesa domande profonde che la sfidano e che non si possono superficialmente eludere. Il sacerdozio riservato agli uomini, come segno di Cristo sposo che si consegna nell’eucaristia, è una questione che non si pone in discussione, ma può diventare motivo di particolare conflitto se si identifica troppo la potestà sacramentale con il potere».

Il problema nasce dunque anche da questa eccessiva identificazione: il sacerdozio, il ministero ordinato, è un potere. «Non bisogna dimenticare – chiarisce il Papa – che quando parliamo di potestà sacerdotale ci troviamo nell’ambito della funzione, non della dignità e della santità. Il sacerdozio ministeriale è uno dei mezzi che Gesù utilizza al servizio del suo popolo, ma la grande dignità viene dal battesimo, che è accessibile a tutti. La configurazione del sacerdote con Cristo capo – vale a dire, come fonte principale della grazia – non implica un’esaltazione che lo collochi in cima a tutto il resto». È il battesimo che ci fa figli di Dio, è da quel sacramento che viene la grande dignità per tutti gli appartenenti al popolo di Dio. È vero che il sacerdote agisce «in persona Christi», configurato a Cristo, per essere mediatore della grazia. Ma questo non significa che il prete debba essere in cima a tutto e a tutti.

Nella Chiesa, infatti, ricorda Bergoglio, «le funzioni non danno luogo alla superiorità degli uni sugli altri. Di fatto, una donna, Maria, è più importante dei vescovi. Anche quando la funzione del sacerdozio ministeriale si considera “gerarchica”, occorre tenere ben presente che è totalmente ordinata alla santità delle membra di Cristo. Sua chiave e suo fulcro non è il potere inteso come dominio, ma la potestà di amministrare il sacramento dell’eucaristia; da qui deriva la sua autorità, che è sempre un servizio al popolo». Un servizio, non un potere. Ricordarlo è il migliore antidoto contro la sempre risorgente patologia del clericalismo, di quella separazione, di quell'autocompiacimento che rischia talvolta di far percepire il clero come una casta. L'immagine del pastore così come emerge dal magistero di questi primi mesi del pontificato è lontana anni luce da qualsiasi tentazione clericale. Il pastore «con l'odore delle pecore» non guida soltanto il gregge, ma ci in mezzo e cammina anche dietro al gregge per far sì che nessuno resti indietro.

La potestà derivante dall'ordine sacro non si deve percepire come potere ma come servizio. E anche se le donne non possono avere accesso al servizio dell'ordine sacro, questo non significa che non possano e non debbano essere molto meglio valorizzate nella vita della Chiesa, anche là dove si prendono le decisioni. «Qui si presenta una grande sfida per i pastori e per i teologi – conclude Francesco nell'esortazione apostolica – che potrebbero aiutare a meglio riconoscere ciò che questo implica rispetto al possibile ruolo della donna lì dove si prendono decisioni importanti, nei diversi ambiti della Chiesa».
 

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