Immigrazione, non serve cambiare legge

 28-12-2013  

di Alfredo Mantovano  

Sbarco a Lampedusa

 

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Si può raggiungere una linea di equilibrio che da un lato superi la posizione di stallo del governo italiano sull’immigrazione, e da dall’altro faccia riflettere sul programma, enunciato anche da esponenti dell’esecutivo in carica, di smantellare i pilastri del nostro ordinamento in materia? Pongo il medesimo quesito con altre parole: quel che oggi non va in Italia nella vicenda immigrazione esige incisive modifiche legislative oppure richiede un’azione di governo più attenta e più continuativa? Non è che, come sta accadendo in altri settori, si punta a cambiare le norme per mascherare deficienze istituzionali? In particolare, non è che abolire in tutto o in parte la Bossi-Fini è lo slogan facile per soluzioni a buon mercato, di rilievo solo mediatico? Per rispondere proviamo a identificare i punti critici emersi negli ultimi mesi:

Situazione difficile nei Centri di accoglienza. Questi centri sono la prima tappa quando uno straniero arriva in Italia; i problemi al loro interno dipendono da più fattori, spesso concorrenti: a) chi viene collocato in queste strutture vi resta più del necessario, come accade a Lampedusa, il cui centro è attrezzato per ospitare in condizioni di emergenza, ma non dovrebbe consentire permanenze oltre le 96 ore. Se ancora adesso al suo interno ci sono persone arrivate nell’isola qualche mese fa dipende dalla Bossi-Fini o dal non aver provveduto, giorno dopo giorno, a rendere possibile il loro trasferimento in altri centri? b) le aziende, spesso cooperative, che si aggiudicano gli appalti per la gestione dei centri vanno tenute sotto costante e stretta osservazione da parte dei ministeri e delle prefetture competenti. Se manca il controllo continuo, la propensione a ridurre i costi fa andare sotto gli standard minimi di trattamento dignitoso: è la Bossi-Fini che prescrive sadicamente di maltrattare i migranti o sono i controllori che non fanno fino in fondo il loro dovere?

Situazione difficile nei Cara-Centri per richiedenti asilo. Qui i tempi lunghi dipendono dalle Commissioni che valutano le domande di riconoscimento dello status di profugo; e anche qui non guasterebbe (comunque non è proibito dalla Bossi-Fini!) un tavolo permanente sul rispetto di termini accettabili fra la presentazione e l’esame della domanda di asilo. Valgono le medesime considerazioni sulla verifica di applicazione dei capitolati di appalto. E non è vietato, nell’attesa della decisione della Commissione asilo, far frequentare allo straniero qualche corso di avviamento al lavoro, per non lasciare per mesi nell’ozio: i fondi erogati dall’Ue servono anche a questo.

Difficoltà alla esatta identificazione degli irregolari. Sono europee le norme che impongono di entrare in Italia, e per essa nell’Ue, solo con permesso di soggiorno, a sua volta collegato con un lavoro; e a far seguire l’espulsione all’ingresso irregolare. I Cie-centri di identificazione e di espulsione esistono per impedire che la persona da espellere si dilegui, e quindi per custodirla per il tempo necessario ad accertarne l’identità. Se non è sicura la sua provenienza, come si fa a riaccompagnarlo a casa? e quale è la casa, se non si è certi dello Stato da cui è venuto? Non è un lavoro semplice; esige collaborazione da parte delle Nazioni di origine, spesso non così pronta; esige funzionalità dell’intero nostro ordinamento, spesso assente. I Cie si affollano perché stranieri che vengono condannati ed espiano la pena in carcere, una volta giunto il momento della espulsione, invece di essere accompagnati in aeroporto e imbarcati sono indirizzati ai Cie medesimi, poiché non sono stati ancora identificati con certezza. È assurdo, ma è così: verrebbe meno una parte non marginale di popolazione dei Cie se si utilizzasse il tempo in cui lo straniero è in carcere per lavorare intensamente con le autorità consolari. Se ciò non accade, dipende dalla Bossi-Fini, o da inadempienze che vanno superate? E se la collaborazione a riconoscere come propri gli stranieri da espellere conosce resistenze da parte di più Stati di provenienza, perché non restringere i flussi di arrivi regolari agli Stati che non cooperano?

Pochi Cie funzionanti. L’altra ragione per la quale i Cie sono stracolmi è che in questo momento ne funzionano la metà; gli altri sono chiusi per lavori! E che cosa si aspetta a completare i lavori? Non solo andrebbero resi operativi tutti, ma qualche nuovo Cie meriterebbe di essere aperto in zone piene di stranieri irregolari, come la Toscana o la Campania: territori che però hanno sempre rifiutati questi Centri. Col risultato che il carico degli stranieri scoperti in posizione irregolare viene fatto pesare sui pochi Centri esistenti e rimasti aperti. Anche in tal caso, è necessaria una iniziativa decisa del governo, non un cambio normativo.

Tempi di permanenza nei Cie. Si sono ascoltate proposte di riduzione a due mesi del tempo massimo di permanenza in un Cie; è vero che gli attuali 18 mesi sono troppi, ma si trascura che questo limite viene raggiunto (di rado) quando l’interessato rifiuta ogni collaborazione, lo Stato di probabile origine nicchia, e comunque l’autorità giudiziaria permette – con cadenza bimestrale – la protrazione della permanenza. Il terreno di soluzione è quello di trattative serie con gli Stati di provenienza, utilizzando tutti i mezzi a disposizione. Passare da 18 a 2 mesi come termine massimo di permanenza in un Cie significa tornare alla impostazione originaria della legge Turco-Napolitano: che non ha funzionato perché incentivava la mancanza di cooperazione, nell’attesa che i 60 giorni decorressero. Per concludere sul punto: a) il sistema delle espulsioni oggi funziona male; b) esistono i rimedi per renderlo funzionale, e chiamano in causa l’azione del governo; c) cambiare la legge, nella direzione proposta da qualche uomo di governo, significa paralizzare il sistema. Se questo è l’obiettivo, è onesto enunciarlo. È onesto, cioè, dire con chiarezza che per il governo in carica chiunque può venire in Italia da fuori Ue senza permesso e senza lavoro; ho l’impressione che ciò provocherebbe, insieme a un incremento del flusso degli irregolari, la nostra espulsione – questa sì, effettiva – dal sistema Schengen.

Integrazione dei migranti regolari. Si ha l’impressione che a chi ha responsabilità di governo sfugga il profilo attuale dell’immigrazione regolare in Italia: quella che, da mesi, vede restringersi l’area dei lavoratori stranieri a causa della crisi economica. Se la perdita di lavoro interessa sensibilmente anche loro, come si può immaginare di farne arrivare altri? fermo restando l’obbligo di accogliere e di assistere i profughi, che fuggono da persecuzioni o da guerre, la loro crescente presenza, trattandosi spesso di persone giovani e abili al lavoro, accentua la domanda di occupazione. Non se ne dovrebbe tenere conto nella programmazione dei nuovi arrivi regolari e nella funzionalità del sistema di espulsione degli irregolari?

Ha il respiro corto concentrare il dibattito sul cambio della legge, come se fosse la bacchetta magica, e non investire su una seria azione di governo, coordinata in sede europea, frutto della collaborazione fra i ministeri competenti in Italia e le istituzioni del territorio. Rottamare la Bossi-Fini può allentare l’ansia mediatica da prestazione politica; è però la garanzia di un peggioramento del quadro, ed è anche la certificazione dell’abbandono del governo dell’immigrazione.

 

 

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