La nuova missione della donna nel discorso alle discepole a Nazareth.

Maria Valtorta, L’Evangelo come mi è stato rivelato, cap. 157, ed. CEV.

157. La nuova missione della donna nel discorso alle discepole a Nazareth.

 

7 maggio 1945.

Gesù è ancora a Nazaret, in casa sua. Meglio: è nell’ex-la­boratorio di falegname. Con Lui sono i dodici apostoli, e inoltre vi sono Maria, Ma­ria madre di Giacomo e Giuda, Salome, Susanna e, cosa nuo­va, Marta. Una Marta ben afflitta, con chiari segni di pianto sotto gli occhi. Una Marta spaesata, intimorita di essere così sola presso altre persone e presso, soprattutto, alla Madre del Signore. Maria cerca di affiatarla con le altre e di levarle quel senso di disagio di cui la sente soffrire. Ma le sue carezze sem­pre più sembrano gonfiare il cuore della povera Marta. Rossori e goccioloni di pianto si alternano sotto il velo molto calato sul suo dolore e sul suo disagio. Entra Giovanni con Giacomo d’Alfeo.

«Non c’è, Signore. È andata col marito ospite da un’amica. Così hanno detto i ser­vi», dice Giovanni.

«Molto le spiacerà certo. Ma potrà sempre vederti e ricevere le tue istruzioni», termina Giacomo d’Alfeo. «Va bene. Non c’è il gruppo delle discepole così come Io lo pensavo. Ma, voi lo vedete, per Giovanna assente è presente Marta, figlia di Teofilo, sorella di Lazzaro. I discepoli sanno chi è Marta. Mia Madre pure. Anche tu, Maria, e forse anche tu, Salome, già sapete dai figli vostri chi è Marta, non tanto come donna secondo il mondo, quanto come creatura agli occhi di Dio. Tu, Marta, a tua volta sai chi sono queste che ti considerano sorella e che ti ameranno tanto. So­rella e figlia.Di questo hai tanto bisogno, buona Marta, per avere anche quel conforto umano di affetti buoni che Dio non condanna, ma che ha dato all’uomo per sorreggerlo nella fatica del vivere. E Dio ti ha portata qui proprio nell’ora da Me scelta per dare la base, potrei dire il canovaccio, su cui voi ricamerete la vostra perfezione di discepole.

Discepolo vuol dire chi segue la disciplina del Maestro, del­la sua dottrina. Perciò in senso ampio saranno detti discepoli tutti coloro che ora, e nei secoli, seguiranno la dottrina mia. E, per non fare tanti nomi dicendo “discepoli di Gesù secondo l’insegnamento di Pietro o di Andrea, di Giacomo o Giovanni, di Simone o Filippo, di Giuda o di Bartolommeo o di Tommaso e Matteo”, si dirà, con un nome solo che li agglomererà sotto un unico segno, “cristiani”. Ma fra la grande massa dei soggeti alla mia disciplina Io ho già scelto i primi, e poi i secondi, e così sarà fatto nei secoli in memoria di Me. Come nel Tempio, e prima ancora, da Mosè, vi fu il Pontefice, i sacerdoti, i leviti, i preposti ai diversi servizi, uffici e incarichi, i cantori e così via, altrettanto nel mio Tempio nuovo, grande quanto tutta la Ter­ra, duraturo come essa, vi saranno i sommi ed i minori, tutti utili, tutti a Me diletti; e inoltre vi saranno le donne, la catego­ria nuova che Israele ha sempre spregiato, confinandole ai canti verginali nel Tempio o alle istruzioni delle vergini nel Tempio. E non di più.

Non discutete se ciò era giusto. Nella religione chiusa di Israele e nel tempo di corruccio ciò era giusto. Tutta l’onta era sulla donna, origine del peccato. Nella religione universale di Cristo e nel tempo del perdono tutto questo cambia. Tutta la Grazia si è adunata in una Donna ed Essa l’ha partorita al mondo perché fosse redento. La donna perciò non è più lo sde­gno di Dio, ma l’aiuto di Dio. E per la Donna, diletta del Signore, tutte le donne possono divenire discepole del Signore non solo come la massa ma come sacerdotesse minori, coadiu­trici dei sacerdoti, ai quali possono dare tanto aiuto presso gli stessi e presso i fedeli e i non fedeli, presso coloro che non li porterà a Dio tanto il ruggito della parola santa quanto il sor­riso santo di una discepola mia.

Voi mi avete chiesto di venire, come vengono gli uomini, dietro a Me. Ma venire solo, ascoltare solo, applicare solo, è troppo poco per Me, riguardo a voi. Sarebbe la vostra santifi­cazione. Grande cosa. Ma non mi basta ancora. Io sono Figlio dell’Assoluto e dai miei prediletti voglio l’assoluto. Tutto vo­glio perché tutto ho dato. Inoltre non Io solo, ma anche il mondo c’è. Questa cosa tre­menda che è il mondo. Dovrebbe essere tremendo in santità: una sconfinata, in numero e potenza, santità della moltitudine dei figli di Dio. Invece è tremendo in nequizia. La sua com­plessa nequizia è realmente sconfinata in numero delle sue manifestazioni e in potenza di vizio. Tutti i peccati sono nel mondo, che non è più moltitudine dei figli di Dio ma è moltitu­dine dei figli di Satana, e soprattutto è vivo il peccato che por­ta il più chiaro segno della paternità sua: l’odio. Il mondo odia. Chi odia vede e vuol fare vedere, anche a chi non vede, il male anche nelle cose più sante. Se voi domandaste al mondo perché Io sono venuto, non vi direbbe: “Per beneficare e redimere”. Ma vi direbbe: “Per cor­rompere e usurpare”. Se voi domandaste al mondo che pensa di voi che mi seguite, esso non direbbe: “Voi lo seguite per san­tificarvi e dare conforto al Maestro con santità e purezza”. Ma direbbe: “Voi lo seguite perché sedotte dall’uomo”. Così è il mondo.

E Io vi dico anche questo perché tutto misuriate prima di mostrarvi al mondo come discepole elette, le capostipiti del­le discepole future, cooperatrici dei servi del Signore. Prendete bene il vostro cuore in mano e ditegli, a questo vo­stro cuore sensibile di donne, che voi, ed esso con voi, sarete derise, calunniate, sputacchiate, calpestate dal mondo, dal di­sprezzo, dalla menzogna, dalla crudeltà del mondo. Chiedete­gli se si sente capace di ricevere tutte le ferite senza urlare di sdegno, maledicendo coloro che lo feriscono. Chiedetegli se si sente capace di affrontare il martirio morale della calunnia senza giungere ad odiare i calunniatori e la Causa per cui sarà calunniato. Chiedetegli se, abbeverato e ricoperto del livore del mondo, saprà sempre emanare amore, se avvelenato di as­senzio saprà spremere miele, se soffrendo ogni tortura di incomprensione, di scherno, di maldicenza, saprà continuare a sorridere segnando con la mano il Cielo, la sua meta, alla quale – per carità muliebre, materna anche nelle fanciulle, materna anche se data a longevi che potrebbero essere avi vostri, ma che sono pueri spirituali appena generati e incapaci di com­prendere e guidarsi nella via, nella vita, nella verità, nella sa­pienza che Io sono venuto a dare dando Me stesso: Via, Vita, Verità, Sapienza divina – alla quale meta volete portare gli al­tri. Io vi amerò lo stesso anche se mi dite: “Non ne ho la forza, Signore, di sfidare tutto il mondo per Te”.

Ieri una fanciulla mi ha chiesto che Io la immoli, prima che scocchi per lei l’ora delle nozze, – perché sente che mi ama co­me va amato Dio, ossia con tutta se stessa – alla perfezione assoluta del donarsi. Ed Io lo farò. Le ho nascosto l’ora perché l’anima non tremi di paura, più che l’anima la carne. La sua morte sarà simile a quella del fiore che chiude la corolla una sera, credendo aprirla ancora il giorno dopo, e non l’apre più, perché il bacio della notte ha aspirato la sua vita. E lo farò, se­condo il suo desiderio, anticipando di pochi dì il suo sonno di morte dal mio. Per non farla attendere nel Limbo, questa mia prima vergine, per trovarla subito sul mio morire… Non piangete! Sono il Redentore… Ma questa fanciulla santa, che non si è limitata all’osanna subito dopo il miracolo ma ha saputo lavorare il miracolo come moneta messa a frutto, passando dalla gratitudine umana ad una soprannaturale, da un desiderio terreno ad uno ultraterreno, mostrando una ma­turazione di spirito superiore a quella di quasi tutti – dico “quasi” perché fra voi che mi udite vi sono perfezioni uguali e superiori ancora – non mi ha chiesto di seguirmi. Anzi ha mo­strato desiderio di compiere la sua evoluzione da fanciulla ad angelo nel segreto della sua dimora. E pure tanto Io l’amo che nelle ore di disgusto per ciò che è il mondo Io rievocherò que­sta dolce creatura, benedicendo il Padre che mi asciuga lacri­me e sudori, di Maestro di un mondo che non mi vuole, con questi fiori di amore e purezza.

Ma se volete, se avete il coraggio di rimanere le discepole elette, ecco che Io vi segnalo il lavoro che dovete fare per giu­stificare la vostra presenza ed elezione presso Me e presso i santi del Signore. Voi potete tanto fare presso i vostri simili e verso i ministri del Signore. L’ho accennato a Maria d’Alfeo or sono molti me­si. Quanta necessità della donna presso l’altare di Cristo! Le infinite miserie del mondo possono essere curate da una donna molto più e meglio che dall’uomo, e all’uomo essere poi portate per essere completamente guarite. Vi si apriranno molti cuori, e specie femminili, a voi, donne discepole. Li dovete accogliere come fossero cari figli sviati che tornano alla casa paterna e che non osano affrontare il genitore. Voi sarete quelle che ri­confortate il colpevole e ammansite il giudicante. Verranno a voi molti cercando Dio. Voi li accoglierete come pellegrini stanchi dicendo: “Qui è la casa del Signore. Egli subito verrà”, e intanto li circonderete del vostro amore. Se non Io, un mio sacerdote verrà. La donna sa amare. E fatta per l’amore. Essa ha avvilito l’amore facendone fame del senso, ma in fondo alla sua carne è sempre prigioniero il vero amore, la gemma dell’anima sua: l’amore spoglio del fango acre del senso e fatto di ali e profumi angelici, fatto di fiamma pura e di ricordi di Dio, della sua provenienza da Dio, e della sua creazione fatta da Dio.

La donna – il capolavoro della bontà presso il capolavoro della creazione che è l’uomo: “Ed ora si dia ad Adamo la compagna perché egli non si senta solo” – non deve abbandonare gli Adami. Prendete dunque questa facoltà di amare e usatela nell’amore del Cristo e per il Cristo presso il prossimo. Siate tutta carità presso i colpevoli pentiti. Dite loro di non avere paura di Dio. Come non sapreste fare questo, voi che madri o sorelle siete? Quante volte i vostri piccoli, i vostri fra­tellini non furono malati e bisognosi del medico! Ed avevano paura. Ma voi, con carezze e parole d’amore, avete levato que­sta paura e loro, con la loro manina nella vostra, si sono lascia­ti curare senza avere più il terrore di prima. I colpevoli sono i vostri fratelli e figli ammalati e temono la mano del medico, la sua sentenza… No. Non così. Ditelo, voi che sapete quanto è buono Iddio, che Dio è buono e non bisogna temerlo. Anche se sarà sicuro, reciso nel dire: “Non farai mai più questo”, non caccerà colui che ha già fatto e che si è ammalato. Ma lo cu­rerà, per guarirlo.

Siate madri e sorelle presso i santi. Anche essi hanno biso­gno di amore. Si stancheranno e si consumeranno nella evan­gelizzazione. A tutto quanto è da fare non potranno arrivare. Aiutateli voi, discrete e solerti. La donna sa lavorare. Nella ca­sa, presso i deschi ed i giacigli, presso i telai e tutto quanto è necessario al vivere giornaliero. Il futuro della Chiesa sarà un continuo venire di pellegrini ai luoghi di Dio. Siatene voi le pie albergatrici, che vi assumete tutte le cose di più umile lavoro per lasciare liberi i ministri di Dio di continuare il Maestro.

E poi verranno i tempi difficili, sanguinosi, feroci. I cristia­ni, anche i santi, avranno ore di terrore, di debolezza. L’uomo non è mai molto forte nel soffrire. La donna invece ha sull’uo­mo questa vera regalità del saper soffrire. Insegnatela all’uo­mo, sorreggendolo in queste ore di paura, di sconforto, di la­crime, di stanchezza, di sangue. Nella storia nostra abbiamo esempi di magnifiche donne che seppero compiere atti di au­dacia liberatrice. Abbiamo Giuditta, Giaele. Ma credete che non una è maggiore, per ora, alla madre martire otto volte, sette nei figli e una per sé, al tempo dei Maccabei.

Poi ve ne sarà un’altra… Ma dopo che Lei sarà stata, spesseggeranno le don­ne eroine del dolore e nel dolore, le donne conforto dei martiri e martiri esse pure, le donne angeli dei perseguitati, le donne, mute sacerdotesse che predicheranno Dio col loro modo di vi­vere e che, senza altra consacrazione che quella avuta dal Dio­ Amore, saranno, oh! saranno consacrate e degne d’esserlo.

Questi, per linee molto schematiche, i vostri principali do­veri. Io non avrò molto tempo da dedicare a voi in particolare. Ma vi formerete udendomi. E più vi formerete sotto la guida perfetta della Madre mia. Ieri questa mano materna (e Gesù prende nella sua la mano di Maria) mi ha condotto la fanciulla di cui vi parlai, ed ella mi disse che solo udirla e starle al fianco per poche ore era servito a maturare il frutto della grazia avuta, portandolo alla perfe­zione. Non è la prima volta che mia Madre lavora per il Cristo suo Figlio.

Tu e tu, miei discepoli, nonché cugini, sapete cosa sia Maria per la formazione delle anime a Dio e lo potete dire a quelli o a quelle che temeranno di non essere stati preparati da Me alla missione o di esserlo ancora insufficientemente quan­do Io non sarò più fra voi. Ella, la Madre mia, sarà con voi, ora, nelle ore in cui Io non sarò fra voi, e dopo, quando non sarò più fra voi.Ella vi resta, e con Lei resta la Sapienza in tutte le sue virtù. Seguite da ora in poi ogni suo consiglio. Ieri sera, quando fummo soli, Io seduto vicino a Lei come quando ero bambino, col capo sulla sua spalla così dolce e così forte, mia Madre mi ha detto – avevamo parlato della fanciul­la partita nelle prime ore del pomeriggio con un sole, più ra­dioso di quello del firmamento, chiuso nel suo cuore verginale: il suo segreto santo – mi ha detto: “Come è dolce essere la Ma­dre del Redentore!”. Sì, come è dolce quando la creatura che viene al Redentore è già una creatura di Dio, una in cui è solo la macchia d’origine che non può essere lavata altro che da Me. Tutte le altre piccole macchie di imperfezione umana le ha lavate l’amore. Ma, dolce Madre mia, purissima Guida delle anime al tuo Figlio, Stella santa di orientamento, Maestra soave di santi, pietosa Nutrice dei minimi, salutare Cura degli infermi, non sempre a te ver­ranno queste creature che non ripugnano alla santità… Ma leb­bre, ma orrori, ma lezzo, ma groviglio di serpi intorno ad im­monde cose, strisceranno fino ai tuoi piedi, o Regina del genere umano, per gridarti: “Pietà! Soccorrici! Portaci al tuo Figlio!”, e dovrai mettere questa tua mano di candore sulle piaghe, chi­narti con i tuoi sguardi di colomba paradisiaca sulle deformità infernali, aspirare il lezzo del peccato, e non fuggire. Ma anzi raccoglierti sul cuore questi mutilati da Satana, questi aborti, questi putridumi, e lavarli col pianto, e portarli a Me… E allo­ra dirai: “Come è difficile essere la Madre del Redentore!”. Ma tu lo farai perché sei la Madre… Io bacio e benedico queste tue mani dalle quali verranno a Me tante creature, ed ognuna sarà una mia gloria. Ma, prima che mia, una tua gloria sarà, Madre santa.

Voi, discepole care, seguite l’esempio della Maestra mia e di Giacomo e Giuda, e di tutti coloro che vogliono formarsi nella grazia e nella sapienza. Seguite la sua parola. É la mia, fatta più dolce. Nulla vi è da aggiungere ad essa perché è la parola della Madre della Sapienza.

E voi, amici miei, sappiate avere delle donne l’umiltà e la costanza, e abbattendo la superbia del maschio non spregiate le donne discepole, ma temperate la vostra forza, e potrei dire anche la vostra durezza e intransigenza, al contatto della dol­cezza delle donne. E soprattutto imparate da esse ad amare, credere e soffrire per il Signore, perché in verità vi dico che es­se, le deboli, diverranno le più forti nella fede, nell’amore, nell’osare, nel sacrificarsi per il Maestro loro che amano con tutte loro stesse, senza nulla chiedere, senza nulla pretendere, paghe solo di amare per darmi conforto e gioia.

Andate ora alle vostre case o presso le case dove siete ospi­tati. Io resto con mia Madre. Dio sia con voi». Vanno via tutti, meno Marta.

«Resta, tu, Marta. Già ho parlato col servo tuo. Oggi non è Betania che ospita. Ma la piccola casa di Gesù. Vieni. Mange­rai a fianco di Maria e dormirai nella cameretta presso la sua. Lo spirito di Giuseppe, il conforto nostro, conforterà te mentre riposerai, e domani tornerai a Betania più forte e sicura, a pre­parare anche là donne discepole, in attesa di quella a Me e a te più cara. Non dubitare, Marta. Io non prometto mai invano. Ma per fare di un deserto pieno di vipere un boschetto di para­diso ci vuole tempo… Il primo lavoro non si vede. Sembra che nulla sia avvenuto. Invece il seme è già deposto. I semi. Tutti. E poi verrà il pianto a fare da pioggia che apre i semi… E gli alberi buoni verranno… Vieni!… Non piangere più!».

 

 (grassetti e sottolineature sono i nostri, il corsivo è invece nel testo originale)

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