La Risurrezione dei morti ed il purgatorio ultimo dagli Scritti di Maria Valtorta

da: Maria Valtorta – I Quaderni del 1944

29 gennaio 1944.

Avrei qui da dirle due cose che la interessano certo e che avevo deciso di scrivere non appena tornata dal sopore. Ma siccome c’è dell’altro più pressante, scriverò poi.

Ciò che io vedo questa sera:

Una immensa estensione di terra. Un mare, tanto è senza confini. Dico “terra” perché vi è della terra come nei campi e nelle vie. Ma non vi è un albero, non uno stelo, non un filo d’erba. Polvere, polvere e polvere.

Vedo questo ad una luce che non è luce. Un chiarore appena disegnato, livido, di una tinta verde-viola quale si nota in tempo di fortissimo temporale o di eclissi totale. Una luce, che fa paura, di astri spenti. Ecco. Il cielo è privo di astri. Non ci sono stelle, non luna, non sole. Il cielo è vuoto come è vuota la terra. Spogliato l’uno dei suoi fiori di luce, l’altra della sua vita vegetale e animale. Sono due immense spoglie di ciò che fu.

Ho tutto l’agio di vedere questa desolata visione della morte dell’universo, che penso sarà dello stesso aspetto dell’attimo primo[1], quando era già cielo e terra ma spopolato il primo d’astri e la seconda nuda di vita, globo già solidificato ma ancora inabitato, trasvolante per gli spazi in attesa che il dito del Creatore le donasse erbe e animali.

Perché io comprendo che è la visione della morte dell’universo? Per una di quelle “seconde voci” che non so da chi vengano, ma che fanno in me ciò che fa il coro nelle tragedie antiche: la parte di indicatrici di speciali aspetti che i protagonisti non illustrano di loro. È proprio quello che le voglio dire e che le dirò dopo. Mentre giro lo sguardo su questa desolata scena di cui non comprendo la necessità, vedo, sbucata non so da dove, ritta nel mezzo della piana sconfinata, la Morte. Uno scheletro che ride con i suoi denti scoperti e le sue orbite vuote, regina di quel mondo morto, avvolta nel suo sudario come in un manto. Non ha falce. Ha già tutto falciato. Gira il suo sguardo vuoto sulla sua messe e ghigna.

Ha le braccia congiunte sul petto. Poi le disserra, queste scheletriche braccia, e apre le mani senza più altro che ossa nude e, poiché è figura gigante e onnipresente – o meglio detto: onnivicina – mi appoggia un dito, l’indice della destra, sulla fronte. Sento il ghiaccio dell’osso pontuto che pare perforarmi la fronte ed entrare come ago di ghiaccio nella testa. Ma comprendo che ciò non ha altro significato che quello di voler richiamare la mia attenzione a ciò che sta avvenendo.

Infatti col braccio sinistro fa un gesto indicandomi la desolata distesa su cui ci ergiamo essa, regina, ed io unica vivente. Al suo muto comando, dato con le dita scheletriche della mano sinistra e col volgere a destra e a manca ritmicamente il capo, la terra si fende in mille e mille crepe e nel fondo di questi solchi scuri biancheggiano bianche cose sparse che non comprendo che siano.

Mentre mi sforzo di pensare che sono, la Morte continua ad arare col suo sguardo e il suo comando, come con un vomere, le glebe, e quelle sempre più si aprono fino all’orizzonte lontano; e solca le onde dei mari privi di vele, e le acque si aprono in voragini liquide.

E poi da solchi di terra e da solchi di mare sorgono, ricomponendosi, le bianche cose che ho visto sparse e slegate. Sono milioni e milioni e milioni di scheletri che affiorano dagli oceani, che si drizzano su dal suolo. Scheletri di tutte le altezze. Da quelli minuscoli degli infanti dalle manine simili a piccoli ragni polverosi, a quelli di uomini adulti, e anche giganteschi, la cui mole fa pensare a qualche essere antidiluviano. E stanno stupiti e come tremanti, simili a coloro che sono svegliati di soprassalto da un profondo sonno e non si raccapezzano del dove si trovano.

La vista di tutti quei corpi scheletriti, biancheggianti in quella “non luce” da Apocalisse, è tremenda.

E poi intorno a quegli scheletri si condensa lentamente una nebulosità simile a nebbia sorgente dal suolo aperto, dagli aperti mari, prende forma e opacità, si fa carne, corpo simile a quello di noi vivi; gli occhi, anzi le occhiaie, si riempiono d’iridi, gli zigomi si coprono di guance, sulle mandibole scoperte si stendono le gengive e le labbra si riformano e i capelli tornano sui crani e le braccia si fanno tornite e le dita agili e tutto il corpo torna vivo, uguale a come è il nostro.

Uguale, ma diverso nell’aspetto. Vi sono corpi bellissimi, di una perfezione di forme e di colori che li fanno simili a capolavori d’arte. Ve ne sono altri orridi, non per sciancature o deformazioni vere e proprie, ma per l’aspetto generale che è più da bruto che da uomo. Occhi torvi, viso contratto, aspetto belluino e, ciò che più mi colpisce, una cupezza che si emana dal corpo aumentando il lividore dell’aria che li circonda. Mentre i bellissimi hanno occhi ridenti, viso sereno, aspetto soave, e emanano una luminosità che fa aureola intorno al loro essere dal capo ai piedi e si irradia all’intorno.

Se tutti fossero come i primi, l’oscurità diverrebbe totale al punto di celare ogni cosa. Ma in virtù dei secondi la luminosità non solo perdura ma aumenta, tanto che posso notare tutto per bene.

I brutti, sul cui destino di maledizione non ho dubbi poiché portano questa maledizione segnata in fronte, tacciono gettando sguardi spauriti e torvi, da sotto in su intorno a sé, e si aggruppano da un lato ad un intimo comando che non intendo ma che deve esser dato da qualcuno e percepito dai risorti. I bellissimi pure si questi bellissimi, cantano un coro lento e soave di benedizione a Dio.

Non vedo altro. Comprendo di aver visto la risurrezione finale.[2]

Quello che le volevo dire all’inizio è questa cosa.

Lei oggi mi diceva come avevo potuto sapere i nomi di Hillel e Gamaliele e quello di Sciammai.

È la voce che io chiamo “seconda voce”, quella che mi dice queste cose. Una voce ancor meno sensibile di quella del mio Gesù e degli altri che dettano. Queste sono voci – glie l’ho detto e glie lo ripeto – che il mio udito spirituale percepisce uguali a voci umane. Le sento dolci o irate, forti o leggere, ridenti o meste. Come se uno parlasse proprio vicino a me. Mentre questa “seconda voce” è come una luce, una intuizione che parla nel mio spirito. “Nel”, non “al” mio spirito. È una indicazione.

Così, mentre io mi avvicinavo al gruppo dei disputanti e non sapevo chi era quell’illustre personaggio che a fianco di un vecchio disputava con tanto calore, questo “che” interno mi disse: “Gamaliele – Hillel”. Si. Prima Gamaliele e poi Hillel. Non ho dubbi. Mentre pensavo chi erano costoro, questo indicatore interno mi indicò il terzo antipatico individuo proprio mentre Gamaliele lo chiamava a nome. E così ho potuto sapere chi era costui dal farisaico aspetto.

Oggi questo indicatore interno mi fa comprendere che io vedevo l’universo dopo la sua morte. E così molte volte nelle visioni. È quello che mi fa capire certi particolari che da me non afferrerei e che sono necessari di capirsi.

Non so se mi sono spiegata bene. Ma smetto perché comincia a parlare Gesù.


Dice Gesù:

Quando il tempo sarà finito e la vita dovrà essere unicamente Vita nei cieli, il mondo universo tornerà, come hai pensato, ad essere quale era all’inizio, prima d’esser dissolto completamente. Il che avverrà quando Io avrò giudicato.

Molti pensano che dal momento della fine al Giudizio universale vi sarà un attimo solo. Ma Dio sarà buono sino alla fine, o figlia. Buono giusto.

Non tutti i viventi dell’ora estrema saranno santi e non tutti dannati. Vi saranno fra quei primi coloro che sono destinati al Cielo ma che hanno un che da espiare. Ingiusto sarei se annullassi ad essi l’espiazione che pure ho comminata a tutti coloro che li hanno preceduti trovandosi nelle loro medesime condizioni alla loro morte.

Perciò, mentre la giustizia e la fine verranno per altri pianeti, e come faci su cui uno soffia si spegneranno uno ad uno gli astri del cielo, e oscurità e gelo andranno aumentando, nelle mie ore che sono i vostri secoli – e già si è iniziata l’ora dell’oscurità, nei firmamenti come nei cuori – i viventi dell’ultima ora, morti nell’ultima ora, meritevoli di Cielo ma bisognosi di mondarsi ancora, andranno nel fuoco purificatore. Aumenterò gli ardori di quel fuoco perché più sollecita sia la purificazione e non troppo attendano i beati di portare alla glorificazione la loro carne santa e di far gioire anche la stessa vedendo il suo Dio, il suo Gesù nella sua perfezione e nel suo trionfo.

Ecco perché hai visto la terra priva di erbe e alberi, di animali, di uomini, di vita, e gli oceani privi di vele, distesa ferma di acque ferme poiché non sarà più necessario ad esse il moto per dar vita ai pesci delle acque, come non più necessario calore alla terra per dar vita alle biade e agli esseri. Ecco perché hai visto il firmamento vuoto dei suoi luminari, senza più fuochi e senza più luci. Luce e calore non saranno più necessari alla terra, ormai enorme cadavere portante in sé i cadaveri di tutti i viventi da Adamo all’ultimo figlio di Adamo.

La Morte, mia ultima ancella sulla Terra, compirà il suo ultimo incarico e poi cesserà d’essere essa pure. Non vi sarà più Morte. Ma solo Vita eterna. Nella beatitudine o nell’orrore. Vita in Dio o vita in Satana per il vostro io ricomposto in anima e corpo.

Ora basta. Riposa e pensa a Me.»


E anche questa sera, che non volevo scrivere perché ero sfinita, ho dovuto scrivere 12 facciate!… Senza commenti.

Dimenticavo dirle che i corpi erano tutti nudi ma che non faceva senso, come se la malizia fosse morta essa pure: in loro e in me. E poi, ai corpi dei dannati faceva schermo la loro oscurità e a quello dei beati faceva veste la loro stessa luce.

Perciò, ciò che è animalità in noi scompariva sotto l’emanazione dello spirito interno, signore ben lieto o ben disperato della carne.


[1] Genesi 1, 1-2.

[2] 1 Corinzi 15, 35-58.

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