Libertà religiosa nel mondo, «nuove preoccupazioni»

Da Avvenire 16 ottobre 2012
Mimo Muolo
Le primavere arabe rischiano di diventare altrettanti “autunni” per i cristiani che vivono in quelle regioni. È uno dei dati che maggiormente saltano agli occhi leggendo il Rapporto 2012 sullo stato della libertà religiosa nel mondo, presentato ieri a Roma dall’Aiuto alla Chiesa che soffre (Acs). La maggior parte delle violazioni, infatti, riguardano i Paesi a maggioranza musulmana e a farne le spese sono nella quasi totalità dei casi le minoranze, in special modo quelle cristiane.
In particolare, è stato affermato durante la presentazione del rapporto, destano oggi preoccupazione Paesi che, invece, nel recente passato godevano di una relativa calma, come Tunisia, Libia (dove si teme l’introduzione della sharia), Egitto (con la minoranza copta mai così sotto pressione) e Siria. «I cristiani – ha detto l’islamologo padre Samir Khalil Samir – chiedono l’uguaglianza con gli altri e il rispetto della loro fede». Ma secondo il gesuita egiziano, docente all’Università Saint Joseph di Beirut e al Pontificio Istituto Orientale, «in seguito alle rivolte, l’affermarsi di gruppi integralisti (come i Fratelli musulmani o i salafiti) ha riacceso i timori di vedersi sottoposti alla legge della legge islamica. Chi può – ha aggiunto il religioso – va via. Con il risultato che la presenza cristiana in tutti questi Paesi è destinata ad assottigliarsi, come è già avvenuto in Iraq, dove i pochi rimasti continuano a soffrire.
Un ulteriore campanello d’allarme è costituito da alcuni fatti recenti in Egitto, ad esempio l’arresto di due bambini copti di otto e dieci anni accusati di aver profanato dei fogli di carta riportanti versetti del Corano. «Stiamo prendendo una direzione pericolosa – ha affermato padre Samir – e rischiamo di tornare ad un’epoca che ormai non conoscevamo più: quella del fanatismo religioso».
Purtroppo, però, il Rapporto 2012 evidenzia un forte aumento della pressione dell’estremismo islamico anche in alcune nazioni africane – Kenya, Mali, Nigeria, Ciad e persino la Tanzania – che rischia di destabilizzare importanti aree del continente. Christine du Coudray Wiehe, responsabile internazionale per l’Africa di Acs, ha raccolto numerose testimonianze. «Nella Repubblica Democratica del Congo – ha detto – sono i soldati indonesiani e pachistani a servizio dell’Onu, che invece di garantire la sicurezza della popolazione, finanziano con i loro soldi la costruzione di moschee. In Ciad, invece, è stato l’ambasciatore saudita a vantarsi, prima di andar via, di aver costruito un centinaio di moschee».
Simbolo della violenza fondamentalista nel continente è comunque in questo periodo la Nigeria dove la setta dei Boko Haram ha compiuto numerosi attacchi a istituzioni e Chiese, col dichiarato obiettivo di cancellare la presenza cristiana. L’incapacità governativa di garantire sicurezza ai cittadini è stata più volte messa in luce dall’episcopato locale che continua senza sosta ad invitare al dialogo e alla convivenza pacifica. «L’arcivescovo di Jos sogna un centro di riconciliazione e pace – ha riferito du Coudray –. La Chiesa in Africa è attore principale del dialogo interreligioso e non smette di promuovere la formazione dei giovani: fattore cruciale per estirpare l’odio e le tensioni».
Violenze di gruppi islamici contro i cristiani si registrano anche in Sudan, Eritrea e Somalia. Per quanto riguarda l’Asia, forti restrizioni alla libertà religiosa (sempre da parte musulmana) si hanno in Pakistan e Afghanistan. L’isola filippina di Mindanao è terreno di attacchi contro i cristiani, mentre in India è lunghissima la lista delle violenze anticristiane commesse dai nazionalisti indù: 170 attacchi di grave o media entità nel solo 2011 secondo il Global Council of Indian Christians (Gcic). «In Stati come Karnataka, Rajasthan, Gujarat, Madhya Pradesh and Chattisgarh vengono commesse ogni anno circa mille violenze contro i cristiani», ha detto John Dayal, segretario generale dell’All India Christian Council. Alle nuove violenze anticristiane si aggiunge la mancata giustizia per i pogrom del 2008 avvenuti in Orissa. «È stato il più devastante attacco alla comunità cristiana degli ultimi tre secoli. Eppure è stata emessa una sola condanna su 30 accuse di omicidio. Tutte le altre sono cadute».
La seconda faccia delle violazioni alla libertà religiosa è quella di natura politica. Non siamo più ai tempi del comunismo imperante, ma le persecuzioni “di Stato” non certo sono finite (anche in Paesi come il Venezuela, dove si sono verificati numerosi casi di oltraggio a simboli religiosi cattolici o addirittura negli Usa dove fa discutere la riforma sanitaria varata da Obama, che obbliga i datori di lavoro a fornire ai dipendenti assicurazioni sanitarie comprensive di servizi quali contraccezione e aborto).
In Cina mai come nel 2011, afferma il Rapporto di Acs, è stata lunga la lista degli arresti di cristiani (cattolici e protestanti), islamici e buddhisti (tibetani); la maggiore durezza del governo si deve probabilmente al crescente interesse verso la religione, in particolare di quella cristiana. Ad aumentare le tensioni anche le nuove ordinazioni illecite e i numerosi casi di arresti, torture e «rieducazioni tramite il lavoro» subiti da chi, fedele al Papa, rifiuta di aderire all’Associazione Patriottica. È inoltre ancora aperta la questione delle proprietà confiscate alla Chiesa dopo la presa di potere di Mao Zedong.
Ispirato dall’esperienza cinese, anche il governo del Vietnam sta tentando di realizzare una Chiesa patriottica. La persecuzione si esprime anche con interruzioni di celebrazioni, arresti, distruzione di edifici religiosi, confische di terreni, aggressioni contro i fedeli.
In Myanmar le persecuzioni anti-cristiane hanno una connotazione politica e l’avvio di riforme volte ad accreditare il Paese con la comunità internazionale non ha scalfito l’ostilità del governo nei confronti delle religioni cristiane, socialmente considerate “straniere”. Drammatica è la situazione della minoranza musulmana Rohingya e prosegue la decennale e violenta persecuzione ai danni della minoranza etnico-religiosa degli Hmong.
Sistematiche violazioni alla libertà religiosa si verificano in Laos, in particolare nel Nord, dove si levano proteste contro il rigido controllo delle autorità sulle attività di culto. Le restrizioni interessano anche la Chiesa cattolica che tuttavia nel gennaio 2011 ha celebrato un evento storico: la prima ordinazione sacerdotale in 40 anni nell’area settentrionale. Permane la negazione assoluta della libertà religiosa in Corea del Nord, dove la persecuzione ha avuto inizio del 1953 con la divisione della penisola. Come confermano le testimonianze degli esuli, è comune che chi pratica attività religiose sia internato nei campi di prigionia, dove sono applicate tortura e pene detentive severissime.
Europa patria della libertà religiosa? Non sempre l’assioma è vero. E così, mentre la Ue viene insignita del Nobel per la Pace, anche il Vecchio Continente conosce le sue eccezioni. Le violazioni sono in prevalenza di carattere sociale e ideologico. Ma non mancano quelle più dirette. In Austria, ad esempio, si verificano con sempre maggiore frequenza casi di aggressioni e atti di intolleranza. Episodi di vandalismo associati ad atti d’intolleranza nei confronti delle convinzioni religiose cristiane si sono registrati in diverse città della Germania e continuano ad aversi nel Regno Unito dove, secondo un rapporto del governo scozzese, nel periodo 2010-2011 vi sono state 693 imputazioni «aggravate da pregiudizio religioso». E numerosi sono i casi d’intolleranza in Spagna, comprese campagne pubblicitarie offensive. Gli episodi più vistosi hanno avuto luogo in occasione della GMG di Madrid, alla presenza del Papa.
In molti Paesi dell’Est non è stata ancora risolta l’annosa questione della restituzione delle proprietà e dei beni confiscati alle varie comunità religiose dopo la Seconda guerra mondiale. Tra questi, Ucraina, Romania, Slovacchia, Slovenia, Montenegro e Repubblica Ceca, dove tuttavia è stato raggiunto un accordo Stato-Chiesa sulla proprietà della cattedrale di San Vito a Praga.
Preoccupa, infine, in Albania la diffusione di un islam più intollerante, rappresentato da giovani imam formati in Turchia e in Arabia Saudita. Così come non va sottaciuta la progressiva islamizzazione di alcune aree della Bosnia-Erzegovina, a causa degli ingenti investimenti compiuti da Iran e Arabia Saudita.
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