«Riportare la Chiesa alla semplicità delle origini»

30/03/2013  
Papa Francesco

PAPA FRANCESCO

Lo ha chiesto in presenza del Papa il predicatore della Casa Pontificia, padre Raniero Cantalamessa

ANDREA TORNIELLI
CITTÀ DEL VATICANO

 

La celebrazione di oggi pomeriggio si svolge secondo lo schema classico della liturgia. "Segnalo, come momento di particolare attenzione anche dal punto di vista visivo – ha detto il portavoce vaticano, padre Federico Lombardi, in un briefing in Vaticano – l'inizio che è proprio con la prostrazione, la preghiera silenziosa del Papa prostrato davanti all'altare: un momento molto caratteristico del Venerdì Santo. Poi anche durante la lettura del Passio, il Papa e tutti che si inginocchiano al momento della morte di Gesù".

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 Nell'edificio della Chiesa, nel corso dei secoli, «per adattarsi alle esigenze del momento», si sono costruiti tramezzi, scalinate, stanze e stanzette. Ma «arriva il momento quando ci si accorge che tutti questi adattamenti non rispondono più alle esigenze attuali, anzi sono di ostacolo, e allora bisogna avere il coraggio di abbatterli e riportare l’edificio alla semplicità e linearità delle sue origini». Con questa immagine efficace il predicatore della Casa Pontificia, padre Raniero Cantalamessa, ha concluso l'omelia tenuta questo pomeriggio in San Pietro, nel corso della celebrazione della Liturgia della Croce, in presenza di Papa Francesco.

Il Pontefice si è prostrato a terra per adorare la croce, nel giorno del Venerdì Santo, durante il quale la Chiesa fa memoria della passione e morte di Gesù. È stato letto in latino il racconto della Passione tratto dai Vangeli. Quindi Cantalamessa ha tenuto la sua meditazione. Il predicatore francescano ha ricordato il racconto di Franz Kafka intitolato “Un messaggio imperiale”. «Parla di un re che – ha detto – sul letto di morte, chiama accanto a sé un suddito e gli sussurra all’orecchio un messaggio. È tanto importante quel messaggio che se lo fa ripetere, a sua volta, all’orecchio. Quindi congeda con un cenno il messaggero che si mette in cammino». 

Il messaggero, scriveva Kafka «si apre la strada attraverso la folla e avanza leggero come nessuno. Ma la folla è immensa, le sue dimore sterminate. Come volerebbe se avesse via libera! Invece, si affatica invano; ancora continua ad affannarsi attraverso le stanze del palazzo interno, dalle quali non uscirà mai. E se anche questo gli riuscisse, non significherebbe nulla: dovrebbe lottare per scendere le scale. E se anche questo gli riuscisse, non avrebbe fatto ancora nulla: dovrebbe traversare i cortili; e dopo i cortili, la seconda cerchia dei palazzi. Gli riuscisse di precipitarsi, finalmente, fuori dall'ultima porta – ma questo non potrà mai, mai accadere – ecco dinanzi a lui la città imperiale, il centro del mondo, ove sono ammucchiate montagne dei suoi detriti. Lì in mezzo, nessuno riesce ad avanzare, neppure con il messaggio di un morto». 

«Dal suo letto di morte – ha ripreso Cantalamessa – anche Cristo ha confidato alla sua Chiesa un messaggio: “Andate per tutto il mondo, predicate la buona novella a ogni creatura”». L’evangelizzazione, ha continuato, «ha una origine mistica; è un dono che viene dalla croce di Cristo, da quel costato aperto, da quel sangue e da quell’acqua. L’amore di Cristo, come quello trinitario di cui è la manifestazione storica, tende ad espandersi e raggiungere tutte le creature, “specialmente le più bisognose della sua misericordia”. L’evangelizzazione cristiana non è conquista, non è propaganda; è il dono di Dio al mondo nel suo Figlio Gesù». 
 
«Dobbiamo fare il possibile – ha concluso il predicatore della Casa Pontificia – perché la Chiesa non divenga mai quel castello complicato e ingombro descritto da Kafka, e il messaggio possa uscire da essa libero e gioioso come quando iniziò la sua corsa.

Sappiamo quali sono gli impedimenti che possono trattenere il messaggero: i muri divisori, a partire da quelli che separano le varie chiese cristiane tra di loro, l’eccesso di burocrazia, i residui di cerimoniali, leggi e controversie passate, divenuti ormai solo dei detriti… Succede come con certi edifici antichi. Nel corso dei secoli, per adattarsi alle esigenze del momento, si sono riempiti di tramezzi, di scalinate, di stanze e stanzette. Arriva il momento quando ci si accorge che tutti questi adattamenti non rispondono più alle esigenze attuali, anzi sono di ostacolo, e allora bisogna avere il coraggio di abbatterli e riportare l’edificio alla semplicità e linearità delle sue origini». 

Era sta proprio questa – ha ricordato Cantalamessa – la missione ricevuta da San Francesco davanti al crocifisso di San Damiano: «Va’, Francesco, ripara la mia Chiesa».

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