Sabato Santo, il silenzio del giorno che “sembra senza Dio”

19/04/2014 

 

Un momento della Via Crucis di ieri con il Papa

(©REUTERS) UN MOMENTO DELLA VIA CRUCIS DI IERI CON IL PAPA

Intervista a madre Loconte, badessa del monastero delle clarisse "San Luigi" di Bisceglie: "Credo che il senso di oggi parta dal Venerdì, dalla morte del Figlio. Dal Suo grido"

ROBERTA LEONE
BISCEGLIE (BARLETTA-ANDRIA-TRANI)

Un parlatorio accogliente illuminato da una finestra e, dietro i vetri, una calla rossa. Per guardarla, oltre il muretto che fa da divisorio, l'occhio deve superare una grata. Quando, sorridendo, entra nella stanza, madre Ludovica Loconte apre subito il chiavistello e si sporge ad abbracciarmi: "Benvenuta!", dice. Ha un volto giovane e un sorriso aperto. La badessa del monastero delle clarisse "San Luigi", nel centro di Bisceglie, ha accettato la nostra richiesta di un colloquio-intervista: a lei, che vive nel silenzio claustrale, abbiamo chiesto di parlare del Sabato Santo. Del silenzio nel mistero della passione di Cristo e del silenzio di Dio nelle vicende degli uomini. Le abbiamo chiesto cos'è il silenzio, come cercarlo e come viverlo. 

Riportiamo il discorso di Madre Loconte senza interpolare domande. L'intervista è stata realizzata con alcuni giorni d'anticipo, in vista del Sabato Santo: in queste ore, la comunità del Monastero San Luigi è in totale silenzio. 

Il grido del Venerdì
"Credo che il senso del Sabato parta dal Venerdì, dalla morte del Figlio. Il senso parte dal Suo grido. Un grido impossibile, che forse non si sarebbero aspettati neppure i carnefici e gli spettatori di quel momento. Un grido che riprende un salmo della preghiera della tradizione della Chiesa ("Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?", Salmo 22(21), ndr) ma che, messo sulla bocca del Figlio di Dio, assume una significanza drammatica. Credo che quel grido cerchi di riempire il silenzio tra il Figlio e il Padre, come se il Padre si fosse ritirato e il Figlio non lo trovasse più. Tutto il Figlio può avere accettato, tutto: supplizio, passione, oltraggio, ma questa assenza del Padre non è possibile. È l'agonia del Figlio, Lui che continua comunque a parlare dalla croce, anche se il Padre non c'è".

Quel momento, dice madre Ludovica, non lo capiremo mai abbastanza. "Credo che lì l'onnipotenza del Padre sia – se mai si possa dire in parole umane – al massimo dell'espressione, a tal punto da rendersi impotente, perché questa sua volontà si sta compiendo. In quel silenzio il Padre sta pagando il prezzo del Figlio. E credo che il vero silenzio, quello che ci costringe quasi a zittire in obbedienza alla vita – un'obbedienza libera e piena – sia sempre la conseguenza di un grido altissimo, dove sono tutte le domande dell'uomo, tutta la tragicità della sua creaturalità, della sua debolezza. E c'è un altro grido, che non è riportato nel Vangelo e che forse non ha voce, ma squarcia l'anima. Il grido silenzioso di una madre che sta ritta sotto la croce. Nel suo discepolato, nel seguire quel Figlio che ha generato, Maria è arrivata fino in fondo. Davanti al grido del Figlio di Dio e al silenzio di sua madre ogni grido dell'uomo può trovare ragione e senso. Può non disperarsi, non sentirsi l'unico e il solo". 

Il Sabato delle donne
"Non si può sopportare il silenzio del Venerdì Santo dopo la morte del Figlio: un terremoto, si squarcia il velo del tempio, i morti risorgono. È uno scenario raccapricciante, grave. Insopportabile. Poi c'è il silenzio del Sabato, e ci viene incontro quasi come una carezza. Mite, come a lenire il male che ci siamo fatti. È strano, la chiesa è vuota: al mattino celebriamo la nostra liturgia ed è l'unico giorno dell'anno in cui non c'è niente. Non c'è una croce, il tabernacolo è vuoto, le tovaglie sono dismesse. La chiesa è vuota come un sepolcro. Sembra un giorno senza Dio. 
Nella tradizione bizantina le donne attraversano in processione le vie della città spargendo fiori e profumi. Questo ci appartiene, come donne. Il sabato è di Maria, ed è di quell'attitudine femminile che sa che la morte non è la fine. Lo abbiamo inscritto nel grembo, nei dolori del parto: la donna non si arrende alla parola fine, anche se la conosce e tante volte ci sbatte la testa contro. Ha un 'rigurgito di speranza' che la rimette in cammino. E il sabato è il giorno assurdo in cui forse gli apostoli tornano raminghi nel cenacolo perché davvero non sanno cosa fare, come spiegarsi, cosa dirsi. Le donne che avevano seguito Gesù si preparavano: al mattino di Pasqua avrebbero portato gli oli aromatici per ungere il suo corpo. Sono ancora lì ad attendere, a preparare, a fare qualcosa. Perché la vita non muoia, anche se è morta". 

Un giorno buono
"Nella nostra chiesa, come in tutti i luoghi in cui ci si prepara per la Pasqua, il sabato coincide anche con la preparazione di una chiesa a festa. E colpisce sempre vedere che ciò che è spoglio, disadorno, freddo, pian piano riprende colore, calore, profumo. E lo fanno mani di donna, proprio come capita a noi della fraternità, che pian piano cominciamo a riaddobbare, a rimettere segni e significati che parlano della vita. E che preparano la vita. E allora il silenzio del Sabato è un silenzio più umano, più sopportabile, che sa piangere e non urla più fino a squarciarsi le viscere. Molto mesto, certo, ma reso più consapevole da tutto quello che è successo. Da tutta la vita che è successa. Il Sabato Santo è un giorno buono per l'uomo. Ma non si improvvisa, se non si è partecipato in qualche modo – anche una sola volta nella vita – a quel grido che ci ha lacerato l'anima". 

Il silenzio che crea
"Penso sempre che Dio Padre è il silenzio e che la Parola è il Figlio che irrompe dal silenzio. È quindi un silenzio di vita, di relazione, un silenzio generatore che crea e che moltiplica. E lo Spirito Santo, poi, è questa voce che trasmette col suo tam-tam attraverso la storia, i secoli, le generazioni, i popoli, le distanze, quel messaggio, quella Parola generata dal silenzio che è il Padre. Dall'esperienza di Gesù nelle pagine del Vangelo mi sembra di cogliere molta sua attitudine al silenzio: i suoi momenti di 'battuta e ritirata', le pagine non scritte, le risposte non date, soprattutto negli ultimi capitoli, nel quadro del Giudizio".
 
La scuola del silenzio
"Il silenzio può essere verità, può essere giustizia, può essere solidarietà. Può essere libertà. E il silenzio può essere anche amore. Ma è una scuola che richiede il tempo di tutta una vita. E mi sembra, per l'esperienza monastica, che il silenzio sia il vocabolario delle parole e dei significati veri. È dal silenzio che tutto riceve il valore più giusto. È lo spazio dove le cose sono generate e si formano meglio. Tutto questo può essere davvero faticoso in una vita quale è quella a cui il mondo con i suoi ritmi, la globalizzazione, la virtualità, ci costringe. Non c'è tempo per il silenzio".

Il vuoto nel cuore
"Conosco tanto silenzio, perché tanto ce ne lascia la gente che viene a incontrarci. Ed è il silenzio dei vuoti, nella vita e nei cuori. È il silenzio più triste, immiserito da una vita non giusta, che ci avviluppa e ci costringe. E capisco perché la gente non sa stare in silenzio e, se qualche volta lo cerca, arrivano mille pensieri, mille affanni. Non è allenata, è come portata a scappare dal silenzio. Il silenzio richiede tempo, rispetto, pazienza. Verità, semplicità. E uno spirito 'sottile': occorre prima affinare i sensi, il modo di sentire la bontà che è in sé la vita stessa".

Un grido che risveglia
"Il Sabato Santo contempliamo anche la discesa di Gesù negli inferi. Gesù è sceso fino in fondo. C'è, nell'Ufficio delle Letture, un bellissimo brano in cui il Signore dice ad Adamo: 'Svegliati, tu che dormi, e risorgi dai morti, e Cristo ti illuminerà!' Cristo scende fin negli abissi del nostro torpore, della nostra negligenza, delle nostre oscurità. Che bello che qualcuno ci dica: 'Svegliati!'. Se non ce lo dice, non ci accorgiamo neppure che stavamo dormendo, che eravamo lì a vivere così, come se non vivessimo. Questa è un'altra parola che squarcia il silenzio e fa un gran bene. C'è sempre da augurarsi che qualcuno ci venga incontro, ogni tanto, sollecitandoci a non rimanere dei dormienti infelici e insoddisfatti, a svegliarci per assaporare tutto il buono che c'è e che non tradisce, che ha rispetto dell'uomo, della storia, della vita e rimane fissato nel corso dei tempi come eternità che ci attraversa. Ciò che è vero, buono, bello, libero, degno, a dispetto di tutto continua ad essere sempre. E questa è la nostra salvezza e la nostra speranza".

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