Sako: ho chiesto ai musulmani una fatwa contro le violenze settarie

28/06/2014 
 

 
Il patriarca Sako

(©LaPresse)

(©LAPRESSE) IL PATRIARCA SAKO

Intervista al Patriarca di Babilonia dei Caldei in visita nei villaggi che hanno accolto gli sfollati di Mosul e Qaraqosh. «Finora non ci sono violenze mirate contro i cristiani»

GIANNI VALENTE
ROMA

«La gente è fuggita per paura della guerra. Ma per ora non ci sono violenze e soprusi subiti dai cristiani in quanto tali. Hanno abbandonato le proprie case sia i cristiani che i musulmani». Le parole di Sua Beatitudine sono nette e credibili, anche perché arrivano in presa diretta dall’epicentro del nuovo caos iracheno. Il Patriarca di Babilonia dei Caldei Louis Raphael I Sako e i vescovi della sua Chiesa non mantengono distanze di sicurezza dalla nuove convulsioni che stanno affaticando il popolo iracheno. Hanno appena concluso il loro Sinodo annuale a Ankawa, il sobborgo di Erbil abitato in prevalenza da cristiani e invaso proprio in questi giorni da migliaia di profughi di Mosul e delle città della Piana di Ninive fuggiti davanti all’offensiva degli insorti sunniti guidati dai jihadisti dello Stato Islamico dell’Iraq e del Levante (Isil). Oggi, appena conclusa la riunione sinodale, Sako insieme all’arcivescovo caldeo di Mosul Amel Shimon Nona hanno voluto visitare altri villaggi travolti dalle fughe di massa.  Un giro veloce tra terrore e fatica, tra la fame e il caldo. In un Paese che appare sull’orlo del collasso definitivo.

Beatitudine, quale situazione ha potuto verificare di persona nella Piana di Ninive?

«A Qaraqosh c’erano 5mila famiglie. Sono fuggite quasi tutte. Molti hanno trovato riparo a Kramles, a  Tilkif e poi nei villaggi più lontani, vicino alle montagne. Abbiamo avuto contatti con il governo della regione autonoma del Kurdistan che ha garantito la protezione di questi villaggi. Adesso anche a Qaraqosh qualcuno comincia a tornare. Ma la situazione rimane drammatica. La gente ha paura e nessuno sa come andrà a finire».

I cristiani sono oggetto di violenze mirate?

«Da Mosul sono fuggiti in centinaia di migliaia, e la maggior parte sono musulmani. Tutta la popolazione si è vista costretta a lasciare le proprie case, ma finora non c’è niente contro i cristiani in quanto tali. Anche nei soccorsi non si fanno differenze. Oggi sono stato ad Alqosh, ci sono ottocento famiglie di rifugiati, in maggioranza musulmani. A Tilkif abbiamo aperto a tutti i locali delle chiese. Ci sono donne che in questa situazione partoriscono e hanno bisogno di assistenza. Ovviamente, tutto questo incentiva la fuga dei cristiani dal Paese. Domenica scorsa, mentre ero a Istanbul per celebrare un matrimonio, sono arrivate dieci famiglie cristiane appena fuggite da Mosul. Che difficilmente torneranno».

Quali iniziative particolari stanno prendendo le Chiese?

«Abbiamo costituito una squadra di cinque vescovi – tre caldei, più l’arcivescovo siro-cattolico Yohanna Petros Moshe e il vescovo siro-ortodosso di Mosul – per affrontare le emergenze più gravi. Abbiamo distribuito 160.000 dollari per i primi aiuti offerti a tutti, cristiani e musulmani, davanti all’esplosione della nuova emergenza. La gran parte dei politici si dice convinta che la situazione peggiorierà, e che il Paese sta avviandosi verso lo smembramento».

Dal Sinodo avete lanciato anche allarmi alle forze politiche.

«Abbiamo chiesto ai leader politici di formare con prontezza un governo unità nazionale. Abbiamo chiesto anche ai musulmani di pregare per la pace durante il Ramadan e di emettere fatwe contro la violenza settaria».

L’Onu e l’Occidente devono intervenire? E come?

«L’Onu e i Paesi occidentali devono aiutare i politici iracheni a sedersi e dialogare per trovare una soluzione politica, e non militare. Gli interventi militari esterni del passato hanno contribuito a innescare il processo disastroso che sta sconvolgendo il nostro presente. Far arrivare nuove armi in Iraq arricchisce chi le vende, e sparge morte e dolore per tutti gli altri».

Ma Lei che idea si è fatto di quello che sta succedendo?

«La situazione è confusa, e per certi versi misteriosa. L’Isil dice di voler creare un califfato islamico, ma intanto punta soprattutto a occupare le aree del petrolio. C’è la frustrazione di una parte dei musulmani sunniti marginalizzati che hanno visto l’offensiva dell’Isil come un’occasione di rivalsa e l’hanno appoggiata. E poi c’è il disegno di coinvolgere l’Iraq con il conflitto siriano. Ma non sappiamo dove potrà portarci tutto questo».

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