Terra Santa, il sasso nello stagno lanciato da Papa Francesco

7/06/2014 
 
Francesco con Abu Mazen

(©Ansa)

(©ANSA) FRANCESCO CON ABU MAZEN

La portata dirompente di un gesto lontano dalle strategie politiche che può far ripartire il negoziato

ANDREA TORNIELLI
CITTÀ DEL VATICANO

  
Papa Francesco domani sera, nei giardini vaticani,  prova a gettare un sasso nello stagnante negoziato tra israeliani e palestinesi. Lo fa invitando in casa sua a pregare per la pace i presidenti israeliano e palestinese, Shimon Peres e Abu Mazen. Un evento di «respiro alto», una «pausa» rispetto alle dinamiche politico-diplomatiche, lo definisce padre Pierbattista Pizzaballa, il Custode di Terra Santa al quale Bergoglio ha voluto affidare la regia dell'incontro. 

Non sarà un summit per nuove mediazioni o road-map, dunque. Ma qualcosa di più importante, nell'ottica del credente in Dio. Un'invocazione comune che Francesco avrebbe desiderato si potesse svolgere durante il suo viaggio in Terra Santa. Un incontro al quale partecipa, su invito del Papa, anche il Patriarca ecumenico di Costantinopoli Bartolomeo, per testimoniare quanto l'unità dei cristiani sia segno di riconciliazione che travalica i confini delle Chiese ed è per il mondo intero.

Le preghiere delle tre comunità – ebraica, cristiana e musulmana – avranno la stessa struttura: prima la lettura di testi che parlano del creato, dono di Dio all'uomo; quindi il riconoscimento che tutti gli uomini sono figli di Dio e la richiesta di perdono, infine l'invocazione con la richiesta di pace. Al termine sono previsti gli interventi, del Papa e dei due presidenti, formulati come invocazioni e non come discorsi politici. Ciascuno farà la sua preghiera secondo il proprio credo: saranno israeliani e palestinesi – ebrei, cristiani e musulmani – che invocheranno la pace per i loro popoli, senza distinzioni.

Fin dall'annuncio dato a sorpresa da Francesco al termine della messa celebrata domenica 25 maggio nella piazza della Mangiatoia di Betlemme, anche quanti sono rimasti favorevolmente colpiti dall'iniziativa papale, si sono chiesti che cosa ci fosse dietro la proposta. Quasi che la preghiera potesse essere soltanto lo specchietto per le allodole, il paravento, la scusa formale per mettere israeliani e palestinesi attorno a un tavolo, di fronte a una nuova proposta di mediazione. 

Ma chi così ha pensato non è stato capace di riconoscere che per Francesco non c'è nulla di più efficace della preghiera: chiedere, anzi invocare la pace da Dio comporta l'impegno a costruirla «artigianalmente» con l'impegno di ciascuno nella vita di ogni giorno. Il Papa ha definito sia Peres che Abu Mazen «uomini di pace». E sa che sono anche entrambi credenti. Per questo la preghiera per la pace di israeliani e palestinesi, che ebrei, cristiani e musulmani faranno separatamente secondo la propria fede ma indistintamente per il bene dei due popoli, è un segno potente.

Il processo di pace appare oggi immobilizzato: da una parte a motivo del nuovo governo palestinese, che Abu Mazen ha varato con Hamas (organizzazione che non riconosce il diritto all'esistenza dello Stato d'Israele); dall'altra l'autorizzazione a costruire migliaia di nuovi alloggi per i coloni in Cisgiordania, nuovi insediamenti che si aggiungono ai tanti già esistenti e che rendono sempre più difficile la nascita di uno Stato palestinese. 

Annunciando l'incontro di domani, Papa Francesco aveva detto: «Tutti desideriamo la pace; tante persone la costruiscono ogni giorno con piccoli gesti; molti soffrono e sopportano pazientemente la fatica di tanti tentativi per costruirla. E tutti –specialmente coloro che sono posti al servizio dei propri popoli –  abbiamo il dovere di farci strumenti e costruttori di pace, prima di tutto nella preghiera. Costruire la pace è difficile, ma vivere senza pace è un tormento. Tutti gli uomini e le donne di questa Terra e del mondo intero ci chiedono di portare davanti a Dio la loro ardente aspirazione alla pace».

Francesco spera che la grande mobilitazione della preghiera che in tutto il mondo accompagnerà l'invocazione di domani, renda «coloro che sono posti al servizio dei propri popoli» più coscienti e più impegnati a rispondere concretamente all'aspirazione di chi quotidianamente fa i conti con «il tormento» dell'assenza di pace.

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