Trasparenza finanziaria: ora tocca ai vescovi

31/07/2013 

Nubi sulla chiesa slovena (nella foto la cattedrale di san Nicola a Lubjana)

NUBI SULLA CHIESA SLOVENA (NELLA FOTO LA CATTEDRALE DI SAN NICOLA A LUBJANA)

Papa Francesco ha fatto dimettere gli arcivescovi di Lubjana e Maribor per un crack da 800 milioni di euro. E si parla di questioni patrimoniali anche per la rinuncia del vescovo di Yaoundé

GIORGIO BERNARDELLI
MILANO

L'arcivescovo di Lubjana Anton Stres e l'arcivescovo di Maribor Marjan Turnsek che escono di scena nello stesso giorno. E in entrambi per una rinuncia che il Papa ha accettato ai sensi del paragrafo 2 del canone 401 del Codice di diritto canonico: quello che parla di dimissioni presentate quando il vescovo «per infermità o altra grave causa risultasse meno idoneo all'adempimento del suo ufficio». È una misura decisamente forte quella presa oggi dal Vaticano nei confronti della Chiesa slovena, che vede uscire di scena gli arcivescovi di due delle sue sei diocesi, travolti da un crack finanziario. Il tutto dopo che già Benedetto XVI – il 3 febbraio 2011 – aveva accolto ai sensi dello stesso canone la rinuncia del predecessore di Turnsek a Maribor, l'arcivescovo Franc Kramberger.

Proprio le vicende dell'arcidiocesi di Maribor – di cui per alcuni anni anche l'arcivescovo di Lubjana Anton Stres (70 anni) è stato vescovo ausiliare – sono al centro del provvedimento vaticano. Il caso esplose in maniera clamorosa nel 2010, quando la Santa Sede inviò in Slovenia un visitatore apostolico in seguito a una serie di richieste anomale per l'accensione di mutui presentate a Roma. Saltò fuori un quadro imbarazzante, con un'arcidiocesi che – attraverso operazioni finanziarie spericolate – aveva accumulato debiti per la cifra record di 800 milioni di euro attraverso banche e compagnie telefoniche e televisive (compresa una rete che trasmetteva anche programmi pornografici). Di lì il provvedimento già adottato da Benedetto XVI nei confronti dell'allora arcivescovo Kramberger. Ma la ricostruzione dei fatti ha portato alla luce che la gestione dissennata delle finanze era cominciata almeno dal 2003. E sono emerse gravi responsabilità anche da parte di monsignor Stres – che nel 2009 era stato nominato arcivescovo di Lubjana – e di monsignor Turnsek (58 anni), già arcivescovo coadiutore, succeduto poi a monsignor Kramberger. Di qui – dunque – l'uscita di scena di oggi.

In concomitanza con l'annuncio della Sala Stampa vaticana l'arcivescovo Stres a Lubjana ha tenuto una conferenza stampa raccontando di essere stato informato lo scorso 29 aprile della richiesta di Papa Francesco di rinunciare alla guida della maggiore sede episcopale slovena. Invito accolto dall'arcivescovo che ha sostenuto di non avere mai nascosto le sue responsabilità nella vicenda di Maribor: «Spero e prego Dio che questo mio passo – ha dichiarato – contribuisca a restituire alla Chiesa slovena la reputazione che merita». Dello stesso tenore un comunicato rilasciato dall'arcivescovo Turnsek: «Ho fatto del mio meglio per fronteggiare la situazione – ha scritto – ma per varie ragioni non ci sono riuscito».

Al di là del caso del tutto particolare dell'arcidiocesi di Maribor, ci si chiede se questo intervento così risoluto stia a indicare che il percorso di verifica rigorosa dei comportamenti finanziari voluto da Papa Francesco è destinato a estendersi dallo Ior anche al governo delle diocesi di tutto il mondo. Proprio in queste ore – infatti – c'è stata anche un'altra rinuncia che in Camerun sta facendo molto discutere: quella dell'arcivescovo di Yaoundé, Simon-Victor Tonyé Bakot, 66 anni, già presidente della Conferenza episcopale del Paese. Anche nel suo caso – lunedì – Papa Francesco ha accettato la rinuncia ai sensi del paragrafo 2 del canone 401. E come sempre la Santa Sede non ha fornito ulteriori motivazioni. Ma che anche in questo caso possano c'entrare questioni finanziarie è emerso in maniera indiretta dal testo della notizia sulla rinuncia diffusa ieri dall'edizione francese del sito di Radio Vaticana. «Secondo la stampa camerunese – vi si legge – monsignor Bakot sarebbe stato coinvolto in numerose operazioni immobiliari. Era contestato da una parte del clero e dei fedeli che gli rimproverano la gestione delle proprietà terriere della diocesi, oltre che per le sue prese di posizione molte volte legate al fattore etnico. Il sito di Jeune Afrique (il più importante settimanale africano ndr) sostiene che la diocesi di Yaoundé possieda il maggiore patrimonio immobiliare del Paese dopo quello dello Stato, ma che abbia ugualmente gravi problemi di indebitamento».

 
 
 
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