Capire gli incontri di Assisi

 01-10-2013

di Massimo Introvigne

 

Assisi

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Il 30 settembre Papa Francesco ha incontrato i partecipanti all'incontro internazionale per la pace promosso dalla Comunità di Sant'Egidio, e ha loro rivolto un discorso che prepara la sua prossima visita ad Assisi e riprende l'interpretazione degli incontri interreligiosi della città francescana a suo tempo proposta da Benedetto XVI contro vari rischi di equivoco.

Questi incontri nascono, ha ricordato Francesco, dalla volontà del beato – e prossimo santo – Giovanni Paolo II (1920-2005). «Si era nel 1986, in un mondo ancora segnato dalla divisione in blocchi contrapposti, e fu in quel contesto che il Papa invitò i leader religiosi a pregare per la pace: non più gli uni contro gli altri, ma gli uni accanto agli altri».

«Non doveva e non poteva restare – ha commentato Papa Francesco – un evento isolato», perché le urgenze non sono venute meno e ancora oggi soffiano venti di guerra. E noi «non possiamo mai rassegnarci di fronte al dolore di interi popoli, ostaggio della guerra, della miseria, dello sfruttamento. Non possiamo assistere indifferenti e impotenti al dramma di bambini, famiglie, anziani, colpiti dalla violenza».

Non si tratta però solo delle minacce di guerra in Siria, ma anche del terrorismo che negli ultimi giorni ha colpito soprattutto i cristiani. Riprendendo il cuore del discorso di Benedetto XVI nell'incontro di Assisi del 2011, Francesco ha affermato che «non possiamo lasciare che il terrorismo imprigioni il cuore di pochi violenti per seminare dolore e morte a tanti. In modo speciale diciamo con forza, tutti, continuamente, che non può esservi alcuna giustificazione religiosa alla violenza. Non può esservi alcuna giustificazione religiosa alla violenza, in qualsiasi modo essa si manifesti. Come sottolineava Papa Benedetto XVI due anni fa, nel 25° dell’incontro di Assisi, bisogna cancellare ogni forma di violenza motivata religiosamente».

Ma, ha ricordato Papa Francesco, l'insegnamento di Benedetto XVI ad Assisi non si fermava qui. Non c'è solo la violenza del fondamentalismo religioso, c'è anche quella antireligiosa. Dobbiamo dunque anche «vigilare affinché il mondo non cada preda di quella violenza che è contenuta in ogni progetto di civiltà che si basa sul “no” a Dio».

Le religioni che cosa possono fare? «Molto», risponde il Papa. «La pace è responsabilità di tutti. Pregare per la pace, lavorare per la pace». Francesco chiede il dialogo, ma invita a non confonderlo con l'ottimismo ingenuo. «Niente a che fare con l'ottimismo, è un'altra cosa».

Spesso il dialogo fallisce perché ci si accontenta di «intermediari»: mentre servono «mediatori». «I leader religiosi – invoca il Pontefice – siamo chiamati ad essere veri “dialoganti”, ad agire nella costruzione della pace non come intermediari, ma come autentici mediatori. Gli intermediari cercano di fare sconti a tutte le parti, al fine di ottenere un guadagno per sé. Il mediatore, invece, è colui che non trattiene nulla per sé, ma si spende generosamente, fino a consumarsi, sapendo che l’unico guadagno è quello della pace. Ciascuno di noi è chiamato ad essere un artigiano della pace, unendo e non dividendo, estinguendo l'odio e non conservandolo, aprendo le vie del dialogo e non innalzando nuovi muri!».

Assisi, ha concluso Francesco, non è solo un luogo di mediazione. È un luogo di preghiera, e senza la preghiera Assisi non si capisce o si capisce male. «Dialogo e preghiera crescono o deperiscono insieme. La relazione dell’uomo con Dio è la scuola e l'alimento del dialogo con gli uomini. Papa Paolo VI [1897-1978] parlava della “origine trascendente del dialogo” e diceva: “La religione è di natura sua un rapporto tra Dio e l'uomo. La preghiera esprime mediante il dialogo questo rapporto" (Enc. Ecclesiam suam, 72)». Continuiamo dunque a lavorare per la pace. Ma sapendo che la pace riposa sulla preghiera, e che dove è imposto il «no a Dio» non può esserci vera pace.

 

 

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