Danilo Quinto per Radio Spada] Presidenza della Repubblica: un nome vale l’altro

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 re-giorgio

di Danilo Quinto

 

Nella puntata di "Ballarò" dello scorso 23, è stato diffuso un sondaggio di Euromedia Research sull’elezione del prossimo Presidente della Repubblica, il primo degli impegni che il Parlamento avrà da svolgere, se le dimissioni di Giorgio Napolitano saranno confermate per il prossimo 14 gennaio. La prima nelle preferenze degli italiani, con il 21,7%, è stata Emma Bonino. A seguire, Mario Draghi, al 17%, Gino Strada, al 12,4% , Anna Finocchiaro al 7,6%, Stefano Rodotà al 6,4%, Gianni Letta al 5,6%, Romano Prodi al 5,4% e Pierluigi Bersani al 3,3%.

Già questo dato, quello delle preferenze degli italiani, suscita riflessioni non scontate. L’”icona” Emma Bonino continua ad essere la più amata, come da vent’anni a questa parte, tanto che le altre donne di cui si fanno i nomi – come Anna Finocchiaro, l’unica presente nella classifica, che negli ultimi tempi ha peraltro perso tutte le chance che aveva conquistato – sono da lei surclassate. Non c’è alcun dubbio che con questi pronunciamenti a suo favore venga premiata non solo la persona, ma anche la cultura di cui è espressione la leader radicale. Questo dato di fatto viene ignorato da coloro che a quella cultura si dovrebbero opporre e che non esprimendo neanche uno straccio di semplice contrasto alla sola idea che Emma Bonino diventi Presidente della Repubblica, ne diventano complici. Del resto, in un Paese dove non esiste una cultura cattolica fondata sui principi della Verità e dove il cosiddetto mondo cattolico esprime la sua esistenza coltivando piccoli orticelli di potere, intrisi di tiepidezza e di ignavia, la figura della Bonino sarebbe perfetta. Ve ne sono tutti i presupposti, anche rispetto all’attuale situazione della Chiesa, se è vero – e la notizia non è stata smentita – quanto ha dichiarato la stessa Bonino lo scorso 27 novembre, durante la presentazione di un recente libro del vaticanista di Panorama, Ignazio Ingrao: di essere stata proprio lei a chiedere all’attuale Pontefice di telefonare a Marco Pannella. Le strade della Misericordia sono davvero imperscrutabili.

«Se ero pronta nel 1999, dopo 15 anni di esperienza in più non posso dire di non esserlo, ma la situazione non è mutata: la decisione non spetta né all’opinione pubblica né ai cittadini, ma a oltre mille grandi elettori», afferma la Bonino. Lei è sempre pronta. Anche dopo il defenestramento subito da Renzi da Ministro degli Esteri, nonostante la strenua difesa esercitata a suo favore dall’attuale Presidente della Repubblica, è rimasta imperturbabile ed ha continuato a studiare e a tessere rapporti.

Anche a Renzi – ora che grazie al Patto del Nazareno ha preso tutto il potere, per i prossimi vent’anni – potrebbe andar bene la Bonino. Non è giovane, come le Ministre del suo Governo, ma ha la caratteristica che il Premier cerca per il nuovo Presidente della Repubblica: piace alla gente comune e non è invisa a nessuno degli schieramenti. E’ stata due volte Ministro di Governi presieduti da esponenti del PD (Prodi e Letta). E’ stata nominata da Berlusconi, nel ’94, commissaria europea. Era tra i nomi di possibili candidati scelti dal Movimento 5 Stelle. Lo stesso Pannella, in vista dell’appuntamento delle elezioni, ha di molto attenuato il suo giudizio su Renzi: se il 14 febbraio di quest’anno era “l’ultima espressione del regime”, il 14 ottobre il leader radicale ha dichiarato che “Renzi ci sorprenderà in Europa” ed ha anche chiesto l’iscrizione al PD!

E’ una candidatura bipartizan, quella di Emma Bonino. Non sarà un “nuovo Pertini” – come dice Renzi “quello che ci vorrebbe” – ma possiede i connotati dell’anti-politica: quelli che corrispondono a quell’ineguagliabile metodo radicale che in cinquant’anni di storia è riuscito a introitare centinaia di milioni di euro pubblici per gli strumenti d’informazione – con l’assenso di tutti i cattolici che si sono avvicendati in Parlamento – e ad incamerare le quote di finanziamento pubblico per le  attività di partito, oltre le indennità e i vitalizi pensionistici e, nel contempo, a rappresentare agli occhi di una fetta consistente dell’opinione pubblica, l’anti-sistema. Chapeau!

Una storia italiana, quella di Emma Bonino. Per certi versi, sorprendente, come quella diRomano Prodi, l’altro accreditato pretendente alla carica. Un uomo buono per tutte le stagioni. Quella dell’Iri o quella dell’Ulivo, passando per quella dell’assassinio di Aldo Moro.

Il 10 giugno 1981, Prodi depone davanti alla Commissione Parlamentare sul Caso Moro. Afferma: “In un giorno di pioggia in campagna, con bambini e con le persone che penso vedrete successivamente, perchè sono tutte qui, si faceva il cosiddetto «gioco del piattino» (…) Uscirono Bolsena, Viterbo e Gradoli. Naturalmente, nessuno ci ha badato; poi, in un atlante, abbiamo visto che esiste il paese di Gradoli. Abbiamo chiesto se qualcuno ne sapeva qualcosa e, visto che nessuno ne sapeva niente, ho ritenuto mio dovere, anche a costo di sembrare ridicolo, come mi sento in questo momento, di riferire la cosa (…)”. Inizia così il racconto di una storica seduta spiritica. Un innocente appuntamento “ludico”, come viene definito, alla quale – a suo dire – Prodi partecipa durante i giorni del sequestro di Aldo Moro e dove, grazie al “gioco del piattino”, viene fatto il nome “Gradoli”. La storia viene raccontata alle più alte autorità dell’epoca, ma nessuno si accorge o vuole accorgersi che quello era il nome di una via, dove esisteva effettivamente un covo delle Brigate Rosse. Sono trascorsi 36 anni da quei fatti e nessuno è riuscito, in questo disgraziato Paese, a trovare la Verità e a dirla. Tanto meno Prodi, che nel frattempo è stato Presidente del Consiglio, autore principale del disastro economico che stiamo ancora pagando dell’abbondono della moneta nazionale a favore dell’euro, silurato all’elezione del Presidente della Repubblica nel 2013 e ora tornato in auge grazie a Renzi. Su di lui potrebbe convergere il nihil obstat di Silvio Berlusconi, che ha già dichiarato di accettare un candidato proposto dal PD, disvelando definitivamente – ove ve ne fosse bisogno – l’inesistenza della sua linea politica, tutta dedita a sorreggere un Governo che fa a gara con i precedenti Governi di Monti e Letta per aggiudicarsi il primo posto del peggiore nella storia di questa Repubblica, ma che nello stesso tempo riceve il sostegno di Confindustria, dei grandi giornali, dei potentati economici e finanziari e delle tante consorterie che infestano l’Italia.

Se la Bonino o Prodi, non ce la faranno, è pronta la “carta di riserva”. Non sarà di certo Gianni Letta, che preferisce di gran lunga agire “dietro le quinte” e magari si ritaglierà l’ennesimo ruolo di prestigio. Potrebbe essere l’ex dirigente del PCI più “americano” di tutti, Walter Veltroni, che da tempo è in ”religiosa e silente attesa” e che non è rimasto per nulla scalfito dall’arresto del suo ex vice-capo di Gabinetto, quando era Sindaco di Roma, nell’ambito dell’indagine su Mafia Capitale: "era stimato da tutti – ha detto – è stato uno choc angoscioso e sconcertante il suo arresto. Sono passati sette anni da quando ha cessato il suo lavoro in Campidoglio. E’ stato, in quegli anni, tra le persone più impegnate sul fronte della lotta all'abuso e alla illegalità diffusa. Nessuno ci ha mai riferito dubbi o voci sulle sue azioni". La medesima linea che ha usato Gianni Alemanno rispetto ai suoi collaboratori, implicati nella stessa inchiesta. Uomini avveduti ed esperti, si mostrano candidamente stupiti se persone che lavorano per loro per anni vengono arrestati con l’accusa di associazione a delinquere di stampo mafioso. Roba da non credere!

D’altra parte, in questo Paese – ognuno lo vede e lo sa, ma non lo dice – tutto si compie perché tutto resti uguale e immutabile. E’ una storia gattopardesca quella che si vive. Da sempre. Non esistono scelte, dalle più piccole alle più importanti, che soddisfino criteri di merito e d’interesse generale, ma solo accordi che tendono a consolidare il potere di oligarchie. In questo contesto, un nome vale l’altro, anche per la Presidenza della Repubblica. Dissoltesi le stesse idee di bene comune e di nobiltà della politica, l’importante è che qualcuno erediti i cocci di un Paese, massacrato dalla povertà, dalla disoccupazione e dalla corruzione delle classi dirigenti e di buona parte della società cosiddetta civile.  

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