Andrea Riccardi: Giovanni XXIII e le “frontiere” superate

21/07/2014 
 
Iacopo Scaramuzzi

GIOVANNI XXIII

L’arte del rapporto personale, i lunghi anni all'estero come diplomatico e la “mentalità piccina” della Curia romana, le migrazioni nella Pacem in Terris

IACOPO SCARAMUZZI
CITTÀ DEL VATICANO

“Come ogni altro uomo che vive quaggiù, provengo da una famiglia e da un punto bene determinato… La Provvidenza mi trasse dal mio villaggio nativo, e mi fece percorrere le vie del mondo in Oriente e in Occidente, accostandomi a gente di religioni e di ideologie diverse, in contatto con problemi sociali acuti e minacciosi, e conservandomi la calma e l’equilibrio dell’indagine e dell’apprezzamento sempre preoccupato, salva la fermezza dei principi del credo cattolico e della morale, più di ciò che unisce che non di quello che separa e suscita contrasti”. Parlava così Angelo Giuseppe Roncalli, il futuro Giovanni XXIII, nel discorso pronunciato nel 1953 per la presa di possesso della sede patriarcale di Venezia. Alla sua figura, e alle sue idee sui temi dell’immigrazione e dell’emigrazione, ha dedicato una lectio a Bergamo Andrea Riccardi, storico del cristianesimo, fondatore della comunità di Sant’Egidio, ex ministro all’Integrazione.

“Roncalli è un bergamasco e un italiano che ama vivere a contatto con il mondo, incontrare uomini e donne, popoli diversi. Non si sente straniero né si camuffa mai, imitando l’altro. E’ cristiano, senza arroganza o freddezza, con i monaci greci polemici con i cattolici; con gli ebrei incontrati spesso in tempi di difficoltà; con i laici francesi; con i musulmani; con i diplomatici sovietici o turchi”, ha spiegato Riccardi nel corso dell’incontro “San Giovanni XXIII: l’uomo dell’incontro”, promosso sabato dalla fondazione Papa Giovanni XXIII, insieme all’ente Bergamaschi nel mondo, alla presenza del vescovo di Bergamo, mons. Francesco Beschi. “Senza camuffamenti: cristiano, bergamasco, italiano. La sua è un’identità matura e, per questo, aperta all’altro”.

Per Roncalli, che pure non fu mai un migrante, l’apertura agli altri è radicata nella stessa biografia. Il futuro Pontefice “visse buona parte della sua vita adulta fuori dall'Italia: dal 1925, quando fu nominato visitatore apostolico in Bulgaria, per passare poi in Turchia come delegato apostolico e infine come nunzio in Francia, terra che lasciò nel 1953 alla volta del patriarcato di Venezia. Dai quarantaquattro anni ai settantadue, gli anni della maturità e della prima vecchiaia visse in vari paesi del mondo”.

Da rappresentante del papa, il viaggio, “che – annota Riccardi – lo vede presente a feste cattoliche in tante parti del paese dov'è accreditato, come avviene in Francia tanto da essere ripreso dallo stesso Pio XII, che lo considera troppo in movimento…”, diventa “uno strumento di lavoro, per mostrare la vicinanza del papa stesso”. Anche da Papa Roncalli, “pur accettando un cerimoniale che giudica pesante (come la sedia gestatoria), non rinuncia a uscire. Uscire è superare i confini ristretti posti dal proprio ambiente, dalla tradizione dell'esercizio di una funzione, dalla prudenza, dallo stare tra i propri simili. Giovanni XXIII esce dall'appartamento pontificio e visita il mondo vaticano. Esce dal Vaticano e visita Roma, in particolare le sue parrocchie. Esce da Roma con quello che è il primo viaggio papale dell'età contemporanea dal 1870”, il pellegrinaggio a Assisi e Loreto alle soglie del Concilio vaticano II. “L’arte del rapporto personale”, gli permette di intrecciare mille rapporti, da nunzio e rappresentante pontificio, che continuerà a coltivare anche da Papa. Alla fine della sua vita, “il papa sente che ha avuto un'intensa esperienza dell'umano, di popoli e umanità differenti, sempre restando un cristiano e un sacerdote. Il che fa la differenza con tanti suoi collaboratori di Curia. Tanto che, commentando con il giovane direttore de ‘La Civiltà Cattolica’, padre Tucci, l'ambiente curiale, afferma nel 1963: ‘A proposito degli ambienti curiali, dice che hanno la mentalità piccina, ristretta, perché non sono mai stati fuori Roma, fuori dalla Ciociaria…’”.

“Dovunque è andato – sintetizza Riccardi – il prelato bergamasco non si è sentito straniero; anzi è stato un grande viaggiatore, un superatore di frontiere che i cattolici e i vescovi della sua epoca non oltrepassavano abitualmente”.

Un atteggiamento che si ritrova poi, da Papa, in diversi suoi interventi. Nel 1962, con un gruppo di persone impegnate nell’apostolato della migrazione, denuncia che “l’emigrante, specialmente nel primo trapasso, si può dire un espropriato: degli affetti familiari, come della parrocchia nativa, del proprio paese e della lingua”. Nello stesso anno, parlando in terza persona ricorda ad un gruppo di dirigenti di istituzioni scolastiche latinoamericane: “Uno dei ricordi più impressionanti della sua fanciullezza risale al giorno in cui, uscendo al mattino dalla chiesa parrocchiale…, vide due o tre piccoli carri e molta gente intorno. Partiva un gruppo di emigranti per le Americhe. Andavano a cercare lavoro che mancava nel paese natio; intraprendevano lungo e faticoso viaggio con molte speranze”. Idee riecheggiate nella Pacem in terris del 1963, quando il papa – ha ricordato Riccardi – ribadisce il diritto all'emigrazione e all'immigrazione in base all “appartenenza, in qualità di cittadini alla comunità mondiale”. “La pace pone il problema delle frontiere, quelle frontiere che nella prima guerra mondiale sono divenute trincee, quelle frontiere per cui sono morti milioni di uomini. Roncalli, nella sua vita, fisicamente e spiritualmente va oltre le frontiere. La storia di Roncalli viaggiatore lo aveva portato a una convinzione che espresse – appena nominato patriarca di Venezia nel 1953: ‘Il mondo è piccolo, non esistono e non possono esistere barriere insormontabili per gli uomini di buona volontà’”.

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