Betlemme, il Papa prega davanti al muro fra Israele e Palestina IFrameIFrame

26/05/2014   

In silenzio: Francesco in raccoglimento di fronte al muro

(©Reuters)

(©REUTERS) IN SILENZIO: FRANCESCO IN RACCOGLIMENTO DI FRONTE AL MURO

Francesco invita in Vaticano Abu Mazen e Simon Peres: «Basta conflitti»

ANDREA TORNIELLI
BETLEMME

Prima, con un fuori programma, fa fermare  l'auto davanti all'alto muro di cemento armato che divide Israele e Cisgiordania per una preghiera silenziosa. Poi, alla fine della messa di Betlemme, annuncia di aver invitato i presidenti Abu Mazen e Simon Peres ad una preghiera comune per la pace in Vaticano. La seconda giornata di Papa Francesco in Terra Santa, tra Betlemme e Gerusalemme, che termina con l'abbraccio al patriarca ortodosso Bartolomeo al Santo Sepolcro, è un'occasione per lanciare un potente messaggio di pace: tra israeliani e palestinesi, tra ebrei e musulmani, tra i cristiani divisi.

La mattina, dopo essere arrivato in elicottero da Amman, Bergoglio viene ricevuto nel palazzo presidenziale di Betlemme da Abu Mazen, al quale ricorda che il conflitto tra i due popoli «diventa sempre più inaccettabile», invocando una pace fondata «sulla giustizia, sul riconoscimento dei diritti di ciascuno e sulla reciproca sicurezza». Poi il fuori programma, che evidentemente Francesco aveva in animo di fare. Quando la papamobile diretta alla piazza della Mangiatoia arriva in prossimità del muro, Bergoglio la fa fermare e si avvicina a piedi verso la grande barriera, osservato dai soldati israeliani sulla torretta. Rimane in silenzio, senza dire nulla, con la mano appoggiata alla parete di cemento e alla fine accosta la fronte alla parete di cemento.

Sulla piazza lo attende l'abbraccio variopinto con migliaia di cristiani. Durante la messa accanto alla basilica dove si fa memoria del Dio Bambino, il Papa ricorda che «anche oggi i bambini hanno bisogno di essere accolti e difesi, fin dal grembo materno»: tanti di loro «sono ancora oggi sfruttati, maltrattati, schiavizzati, oggetto di violenza e di traffici illeciti». In troppi «sono profughi»,  e «a volte affondati nei mari, specialmente nelle acque del Mediterraneo».

Al termine della cerimonia la seconda sorpresa della mattinata, l'annuncio dell'incontro in Vaticano con il presidente palestinese e quello israeliano. «In questo Luogo, dove è nato il principe della pace, desidero rivolgere un invito a lei, signor presidente Mahmoud Abbas, e al signor presidente Shimon Peres, ad elevare insieme con me un’intensa preghiera invocando da Dio il dono della pace. Offro la mia casa in Vaticano per ospitare questo incontro».

Parole che il Papa ripete – identiche, cambiando soltanto l'ordine dei nomi dei due presidenti – al suo arrivo a Tel Aviv nel pomeriggio, in presenza di Peres e del premier Benjamin Nethanyau.

Prima di lasciare lo «Stato di Palestina», Francesco pranza con alcune famiglie e incontra i bambini del campo profughi di Dheisheh. Li ascolta mentre parlano dell'«occupazione», volendo «gridare al mondo» le sofferenze del loro popolo. Dice loro: «il passato non deve determinare la vostra vita». E quasi pregando aggiunge: «Ricordatevi  che la violenza non si combatte con la violenza, ma solo con la pace».

All'aeroporto Ben Gurion, in Israele, terza e ultima tappa del viaggio, Francesco cita la Shoah, i sei milioni di ebrei trucidati dai nazisti. Condanna l'antisemitismo e ricorda la strage in Belgio: «Con cuore profondamente addolorato penso a quanti hanno perso la vita nell’attentato di Bruxelles».

All'imbrunire, nella basilica del Santo Sepolcro, l'incontro ecumenico con tutte le confessioni cristiane di Terra Santa. Francesco ripete la sua disponibilità a trovare una forma di esercizio del primato di Pietro che sia «un servizio di amore e di comunione riconosciuto da tutti». Anche qui, più che le parole, contano i gesti. E la preghiera comune dei cristiani nel luogo simbolo di divisioni millenarie, sulla scia dell'abbraccio dei pionieri Atenagora e Paolo VI, è gesto significativo e potente.

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