Dayal: «Via la corruzione anche dalla Chiesa indiana»

6/10/2013 

 

Indiani e cristiani

INDIANI E CRISTIANI

Uno dei più noti attivisti cattolici di New Delhi rilancia l'opera di pulizia di Papa Francesco anche nel suo Paese. E denuncia: «Persino in Orissa c'è stato chi ha rubato sugli aiuti»

GIORGIO BERNARDELLI
ROMA

«Si può bandire la corruzione dalla Chiesa indiana?». Il titolo dell'articolo è decisamente ad effetto; ma ancora di più lo sono la firma e la testata su cui è stato pubblicato. A porre la questione delle tangenti e delle malversazioni non solo fuori ma anche dentro le comunità cristiane non è infatti una voce anticlericale, ma un noto giornalista cattolico indiano – John Dayal –  sul più importante sito di informazione cattolica di tutta l'Asia – l'agenzia UcaNews.

Il ragionamento di Dayal – che è anche segretario dell'All India Christian Council – è semplice: vediamo tutti la forza con cui papa Francesco sta condannando il fenomeno della corruzione, ascoltiamo le sue denunce sull'idolatria del denaro, seguiamo le riforme in corso sull'obiettivo della trasparenza finanziaria in Vaticano. Ma tutto questo non chiede un esame di coscienza particolare anche alla Chiesa dell'India? Il tema della corruzione è oggi uno dei più caldi nel grande Paese asiatico: proprio di questi giorni è la polemica su un decreto che avrebbe permesso di continuare a far politica ai parlamentari condannati per corruzione con sentenze non definitive; un modo per aggirare le leggi approvate sull'onda del movimento di opinione creato con i suoi digiuni da Anna Hazare, il discusso attivista indù che si presenta come il nuovo Gandhi.

Ma la corruzione – in realtà – in India è diffusissima anche fuori dai palazzi della politica. «Istituzioni cristiane comprese», denuncia John Dayal. «Una delle storie più tristi non raccontate in India – scrive nel suo articolo – è la corruzione all'interno delle Chiese che distribuivano gli aiuti dopo i pogrom contro i cristiani in Orissa nel 2008. C'è stato chi è scappato con il denaro arrivato dai donatori; altri hanno girato i fondi a progetti che non c'entravano nulla, quando non lo hanno sperperato in nuovi Suv o nella ristrutturazione delle proprie case con fondi “risparmiati” dalla ricostruzione delle capanne dei fuori casta e dei tribali. Non c'è stata nessuna denuncia e tutto è rimasto confinato al rango di voci. Dal momento che non era denaro pubblico, nessuna delle agenzie ufficiali può indagare su questi fatti finché non viene presentata una denuncia. Ma è un fatto che rivela comunque – commenta Dayal – quanto in India il problema della corruzione sia diffuso e come la stessa Chiesa cattolica non ne sia del tutto al riparo».

Il riferimento ai fatti dell'Orissa è particolarmente pesante: proprio John Dayal, infatti, è stato la fonte principale delle denunce sulle violenze contro i cristiani; ne ha anche seguito personalmente le battaglie legali nei tribunali in cerca di giustizia. Tutto lascia pensare – quindi – che di questi episodi di cui parla abbia conoscenza diretta.

La corruzione, la cattiva gestione di terreni, edifici e istituzioni, come pure l'integrità del personale ecclesiastico che ha a che fare col denaro a tutti i livelli – racconta ancora Dayal – sono diventati temi sempre più discussi in una parte notevole delle Chiese protestanti e indipendenti dell'India. Ed è vero che la Chiesa cattolica e le sue ong in India sono in genere meno accusate di altri. Ma basterebbe approfondire la definizione di corruzione – sostiene – per accorgersi che il quadro non è ugualmente tranquillo. «Se ad esempio considerassimo corruzione anche le tangenti versate da funzionari ecclesiastici e religiosi per ottenere dal governo i permessi per qualche progetto – annota il giornalista indiano – i casi potrebbero letteralmente esplodere».

A testimonianza di come il problema sia sempre più sentito John Dayal cita il caso di un gruppo di imprenditori cristiani che sta provando a elaborare una risposta: hanno dato vità all'Operazione Neemia, intitolata non a caso al personaggio biblico che rifiutò un vitalizio in nome della giustizia. Stanno cercando di elaborare un codice di condotta che promuova la trasparenza e allontani il più possibile le ombre. Una serie di regole che, in uno spirito di fede, prevede anche un percorso di riparazione del male compiuto e di riconciliazione per chi ha praticato la corruzione.

«È troppo presto per dire se un'iniziativa di questo tipo sia solo il sogno di un gruppo di persone oneste o se possa diventare l'inizio di un movimento più ampio – conclude Dayal -. Ma è abbastanza chiaro che se la Chiesa non prende sul serio questo problema della corruzione, prima o poi le agenzie del governo entreranno in gioco. E a quel punto non arriverà niente di buono per nessuno».
 

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