«Fare un voto non è barattare, ma dedicarsi alla gloria di Dio»

13/12/2013 
 
Malati a Lourdes

MALATI A LOURDES

Il mensile BenEssere nel numero di gennaio riflette sui comportamenti nei casi di malattia e sulle promesse al Signore, oltre che di costanza «nello sport come nella vita»

DOMENICO AGASSO JR
TORINO

“Servono davvero i ‘voti’ per la guarigione?”. Su richiesta di una lettrice si è soffermato su questo tema don Guido Colombo, sacerdote paolino, nella sua rubrica sul numero di gennaio del mensile “BenEssere – La salute con l’anima” (San Paolo) in uscita il 19 dicembre. BenEssere è «il primo mensile di salute cattolico», affermano dal gruppo San Paolo, «Trattiamo i temi della salute, appunto, e del benessere in maniera olistica, cercando sempre di non dimenticare come lo “stare bene” sia una condizione non soltanto fisica, ma anche mentale e spirituale. Distribuiamo circa 90mila copie tra edicola, abbonamenti e parrocchie».

«Ho una cara amica, la cui madre sta molto male», ha scritto Federica di Avellino, «Ovviamente, la notizia ha sconvolto tutti, e lei ha pensato di fare un voto, per la guarigione della mamma. Io sono cattolica osservante. Tuttavia, non riesco bene a capire il significato del “voto”. Mi sembra quasi, e mi perdoni il termine, di “barattare” con Dio la guarigione di una persona… Lei che cosa ne pensa? Grazie».

Ecco come ha risposto don Colombo: «Nessun baratto, cara Federica. La pratica di “fare un voto”, per avvalorare con un proprio sacrificio o una rinuncia la preghiera di richiesta che leviamo al Signore — o direttamente, o per intercessione della Vergine Maria, o di qualche santo o beato — non va mai letta nella logica del do ut des (ti do qualcosa perché tu mi dia qualcos’altro in cambio) o del facio ut facias (faccio qualcosa per te perché tu faccia qualcosa per me): questi, infatti, sono ragionamenti umani, che poco hanno a che vedere con la grandezza di Dio, grandezza che si manifesta particolarmente nella sua bontà e nella sua misericordia».

E poi il sacerdote ha proseguito: «La domanda che poni mi offre la possibilità di spiegare, seppur brevemente, la differenza che intercorre tra una “promessa” e, appunto, un “voto” fatti a Dio, con il conseguente “peso” che essi possono avere circa la loro osservanza». La promessa, «o anche il proposito – ha spiegato don Colombo – è un impegno che ci prendiamo col Signore a comportarci in un determinato modo e, talvolta, contiene in sé il timore che, forse, si verrà meno a quanto si è deliberato». E «certamente, il venir meno costituisce un peccato: infatti, non ci si può prendere gioco di Dio».

Invece si fa il voto «non solo per rendere più forte l’impegno, ma anche per trasformare l’azione o la vita in un atto di lode per il Signore». Dunque «l’essenza del voto consiste in questo: nel trasformare l’azione, o anche la vita stessa di una persona, dedicandola esclusivamente alla maggior gloria di Dio, al suo culto».
Don Colombo ha concluso: «Indubbiamente, ha un valore più grande della promessa e quindi non si può fare se non vi è la certezza morale di poterlo osservare. È dunque logico fare un voto quando si sa che si potrà esservi fedele».

Nel numero in uscita ci sarà anche un servizio sul tema «Per essere forti ci vuole costanza»: «Nello sport come nella vita – è scritto – ogni successo è il frutto di un lungo impegno e di tenacia. Anche quelle che sembrano sconfitte, se l’obiettivo è chiaro, sono tappe necessarie a raggiungere il traguardo, e ci insegnano ad affrontare gli ostacoli futuri».

Precedente Nessuna fraternità è possibile senza Dio padre Successivo Mons. Haddad: “La Siria? Una guerra importata”