La Rete dei Viandanti: “Serve una Chiesa più libera e comunionale”

8/03/2013 
Un'immagine del Concilio Vaticano II

UN'IMMAGINE DEL CONCILIO VATICANO II

E’ la posizione degli aderenti all’associazione di fedeli espressa in una lunga Lettera aperta inviata a vescovi e comunità

MARIA TERESA PONTARA PEDERIVA

Riconoscono di “non poter tacere di fronte ad alcune sfide che il nostro tempo pone alla fede cristiana” perché ritengono che esse non siano adeguatamente affrontate dall’annuncio e dalla pastorale così come oggi sono tendenzialmente impostate, e per questo hanno deciso di scrivere una “Lettera alla Chiesa italiana” che verrà presentata a Milano il 16 marzo presso il Centro San Fedele e pubblicata su Il Regno n.4.

Un’idea che parte da lontano e che le dimissioni di Benedetto XVI e l’imminente conclave rendono ancora più di attualità. Firmatari sono tutti gli aderenti ai gruppi e alle comunità che fanno capo alla rete dei Viandanti in Italia, gli stessi che avevano organizzato l’incontro del 15 settembre scorso a Roma “Chiesa di Dio, Chiesa dei poveri”. E tutto questo per fedeltà in primo luogo al Vangelo, ma anche alla metodologia conciliare del Vaticano II, in un mondo però radicalmente mutato.

Parlano di scenari epocali e contesti ambivalenti nei quali la Gaudium et spes ci chiama comunque a vivere come cattolici. E lo sguardo si apre ai “segni di novità positiva” come la più diffusa sensibilità per la libertà di coscienza e di espressione, la richiesta diffusa di equità nella ripartizione delle risorse e forme di cooperazione per il superamento del sottosviluppo, la difesa della dignità delle donne e dei bambini, la presenza di movimenti per la pace e per i diritti umani”.

Evidenziano il diffondersi di situazioni di disagio di fronte alla manifesta difficoltà della gerarchia di rispondere secondo lo spirito del Vangelo ai “segni dei tempi” e di realizzare un positivo confronto fra pastori e fedeli, proprio mentre si assiste a tutto un fiorire nel mondo di esperienze vive di comunità, di gruppi, di laici, di preti, religiosi e anche vescovi che cercano di testimoniare il Vangelo nell’oggi. “L’immagine che prevale è quella di una Chiesa più in competizione che in dialogo col mondo, chiusa più che aperta ai segni dei tempi” e col pericolo neanche troppo velato di un neo-trionfalismo liturgico.

Sono essenzialmente 3 i segni radicali più evidenti.

Il “dire Dio” nella consapevolezza della complessità culturale e delle sfide reali (“il mondo ha sete di Dio, ma non necessariamente del Dio cristiano, mostra spesso nuove istanze di spiritualità, non facilmente decifrabili, accanto a forme di religiosità laiche, secolari, individuali e chiede un rapporto con la Trascendenza più vicino al suo percorso di vita e in ‘presa reale’ con esso”. “Sarebbe bene che nell’occasione dell’Anno della fede l’attenzione si rivolgesse più direttamente, alla Parola del Vangelo piuttosto che al Catechismo”.

Il contesto multiculturale e i grandi movimenti migratori che caratterizzano i nostri giorni. Mentre ad alcuni ciò appare come una minaccia, la Lettera individua la necessità dell’elaborazione di “un’etica della convivenza” perché nell’altro il cristiano vede il volto di Dio.

L’emergere di una presenza globale dei poveri al di là delle divisioni Nord-Sud del mondo. “Siamo chiamati a pronunciare parole evangeliche perché la crisi non è la fine del mondo, ma di un modello di mondo”.

Per rispondere a questi segni, scrivono i Viandanti, occorre una Chiesa libera  (libertà di espressione, di ricerca teologica e la presenza di un’opinione pubblica ) e vera: “auspichiamo che i Pastori e i cristiani si esprimano con franchezza, in particolare nei riguardi delle ingiustizie (a livello locale e globale) e dei rapporti tra chi è debole e chi detiene il potere”.

A livello pastorale l’impressione evidenziata è che il cambiamento oggi sia vissuto più come una necessità (in particolare per la riduzione del numero dei preti) che per consapevolezza con il rischio di soluzioni affrettate e inadeguate. Viene segnalata la frattura tra il sacerdozio ministeriale e il sacerdozio comune di ogni battezzato e la ri-gerarchizzazione autoritaria del loro rapporto: evidente invece la necessità evangelica e anche l’opportunità ecclesiale di tentare ogni sforzo per costruire una Chiesa che coincida effettivamente con il Popolo di Dio.

In altre parole chiedono sinodalità a tutti i livelli (ecclesiologia di comunione) e una diversa prassi pastorale: da una Chiesa centrata su se stessa ad una a servizio del Regno, dalla preminenza alla sacramentalizzazione al primato dell’evangelizzazione, dal clericalismo alla corresponsabilità di tutti i battezzati, dall’improvvisazione individualistica ad una pastorale progettuale, organica e contestualizzata, dall’attivismo alla sapienza della croce come misura della propria efficacia.

È un cammino che comporta “un passaggio da una prassi pastorale pensata per istruire, per insegnare verità (da apprendere), per illustrare precetti e norme (da eseguire fedelmente) ad una prassi che pone al proprio centro la formazione di coscienze mature, di persone capaci di assumersi le proprie responsabilità, di camminare insieme agli altri con le proprie gambe e di ragionare con la propria testa, di operare scelte di fondo umanizzanti e liberanti”.“La Chiesa ha bisogno di ri-esprimere fiducia e speranza nella forza profetica e nella bellezza del Vangelo, evitando i toni moralistici, timorosi, difensivi con cui spesso viene oggi percepita anche di fronte alle grandi questioni sociali, bioetiche, culturali”.

Di qui l’importanza delle relazioni significative tra le persone, all’attenzione all’uomo nella sua concretezza, nelle diverse situazioni spesso di sofferenza, in una “convivialità delle differenze” che apra anche a  nuove forme di Chiesa mai sperimentate.

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