Sindone l’essenza religiosa che interpella le scienze umane

27/03/2013 
La Sacra Sindone

LA SACRA SINDONE

L’analisi del professore, direttore scientifico del Museo Diocesano della Sindone

GIAN MARIA ZACCONE *
ROMA

 

E’ sempre complesso affrontare la questione Sindone per non cadere in equivoci o deludere le aspettative. Intorno al Lenzuolo conservato a Torino si raccoglie una viva devozione, un vasto interesse, ma ferve anche la polemica. Una polemica insita nel fondamento stesso della realtà sindonica: il rimando alla figura di Cristo ed alla sua incarnazione, del quale compartecipa la caratteristica di signum contradictionis.

Non dissimilmente da quanto accadde per le più antiche immagini che volevano tramandare il volto di Gesù, vero Dio e vero uomo, le cosiddette “acheropite” – cioè miracolosamente realizzate senza intervento umano  – sin dalla sua comparsa nella storia la Sindone è fonte di dibattito e approcci differenti quando non antitetici, ed in qualche modo carica su di sé esiti ed eredità della millenaria questione dell’iconografia cristiana, attraversando epoche in cui il rapporto fra religione e società, fra ragione e fede conosce alterne fasi, a volte fortemente problematiche, delle quali in un certo senso la Sindone, con la sua essenza religiosa e la forma che interpella le scienze umane, diviene paradigma.

Nel mondo moderno e post moderno le posizioni che si riscontrano nei suoi confronti sono certamente, rispetto a epoche passate, ancor più complesse e variegate. Molte persone la considerano una reliquia, anzi la più significativa delle reliquie del passaggio di Cristo sulla terra, nel quale è dunque impressa la vera e unica effigie del Salvatore impreziosita dal suo stesso sangue. Alcuni si spingono pericolosamente oltre sino a voler trovare in essa le tracce fisiche della Sua gloriosa resurrezione.

Altri, prescindendo dalle proprie convinzioni circa la sua origine, sottolineano l’importanza di un oggetto il cui innegabile rimando alla Passione di Cristo ne fa una realtà unica dal punto di vista religioso, con enormi potenzialità pastorali e spirituali, ma anche capace di suscitare l’interesse degli studiosi di tante discipline.

Altri ancora la bollano come un falso più o meno antico, comunque non meritevole di alcun interesse o, al massimo, degno di comparire in un ipotetico museo dei grandi inganni della storia.

Il contenuto di tali posizioni è qui necessariamente schematizzato, ma nella realtà è facile riscontrare come esse si intrecciano e sfumano l’una nell’altra, si confrontano, si scontrano, a testimonianza in ogni caso del fatto che l’incontro con la Sindone non lascia indifferenti.

Molto in questo senso hanno contribuito le ricerche scientifiche che a partire dall’inizio del secolo scorso si sono concentrate sulla Sindone, coinvolgendo pesantemente le modalità di approccio. Oggi la questione è, se possibile, ancora più affascinante e nello stesso tempo dibattuta se si considera che la maggior parte di tali studi, pur non avendo chiarito le modalità di formazione dell’immagine, appaiono escluderne l’origine manuale a fronte di un risultato di datazione che porrebbe l’origine del lenzuolo in epoca medievale.

Sino alla fine dell’Ottocento invece la ricerca sulla Sindone aveva praticato soprattutto i percorsi storici ed in parte teologici, ma tutto sommato il problema della cosiddetta “autenticità” – oggetto principale della ricerca scientifica – rimaneva limitato a disquisizioni tra dotti, che difficilmente arrivavano ad interessare il vasto pubblico.

Storicamente è stato l’aspetto devozionale, che più immediatamente emerge da quell’immagine, ad avvicinare le genti alla Sindone e le grandi masse che si spostano per partecipare alle solenni ostensioni non sono generalmente spinte da curiosità intellettuale circa l’origine del Lenzuolo, né accorrono alla ricerca di grazie materiali, ma sono mosse dal desiderio di ricerca di qualcosa – un volto, una figura – dall’ansia dell’incontro con una realtà che fa parte dei più profondi e reconditi affetti del proprio animo. Giustamente mons. Ghiberti ha sottolineato come l’incontro con la Sindone da parte dell’uomo, e a maggior ragione del fedele, sia pre-scientifico. Indagini compiute sui pellegrini nelle ultime ostensioni, dal 1978 ad oggi, hanno rivelato che ben pochi furono coloro che si mossero verso Torino facendo riferimento alla questione della ”autenticità” e che pongono quindi tale problema alla base di un rapporto con la Sindone. Molti più sono stati quelli che hanno spostato la loro attenzione verso la Sindone come “segno”, che diventa “mistero”, che “parla di violenza e ingiustizia”, “l’immagine della pace, l’impronta della sofferenza”. Ma una sofferenza che non si esaurisce in se stessa: per il credente la meditazione sulla morte di Cristo non può essere distaccata dalla gioia della Pasqua, e viceversa: la Sindone diventa quindi “immagine di vita e di risurrezione”.

Questa è dunque la ragione per la quale il  Santo Padre e la Chiesa torinese hanno voluto offrire al mondo, a tutta la gente del mondo, di potersi confrontare con la dolorosa immagine impressa sulla Sindone, per una volta abbandonando la questione scientifica, ma per fissare lo sguardo su “Colui che hanno trafitto” (Gv 19,37), nel giorno del grande silenzio, quel Sabato Santo di cui la Sindone è icona secondo la profonda riflessione di Benedetto XVI, lui stesso pellegrino alla Sindone nel 2010.

 *Direttore scientifico del Museo Diocesano della Sindone, Vice-direttore del Centro Internazionale di Sindonologia di Torino e membro della Commissione Diocesana per la Sindone dell’Archidiocesi di Torino.

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