Siria: c’era una volta la pace

25/09/2013 
Siria in guerra

SIRIA IN GUERRA

Intervista a padre Mtanios Haddad, procuratore Greco Cattolico in Vaticano: "I fondamentalisti islamici stanno strumentalizzando l’opposizione”

DAVIDE DEMICHELIS
ROMA

“Nel mio villaggio i cristiani sono il dieci per cento della popolazione, io sono nato vicino a Maalula. I guerriglieri che hanno ucciso molti cristiani da noi, non parlavano arabo: provenivano da altri Paesi”.

Padre Mtanios Haddad ha conosciuto il cristianesimo  fin dall’infanzia, viene da una zona in cui si parla ancora l’aramaico, la lingua di Gesù. Maalula in questi giorni è alla ribalta delle cronache per gli scontri fra esercito e ribelli. In mezzo, fra i due fuochi, vi è un convento, che ospita suore ed orfani. Archimandrita siriano della chiesa Greco Melchita, padre Mtanios Haddad attualmente vive a Roma, è il procuratore del Patriarca Greco cattolico Gregorio III Laham presso la Santa Sede.

Qual è la via d’uscita dalla crisi siriana?
Bisogna aprire la trattativa, un tavolo di pace che riunisca il governo e l’opposizione. Attenzione però, fra gli oppositori chi non vede altra via che l’uso delle armi, se ne deve andare. Così come chi non parla arabo, cioè chi non ha origini siriane.

E’ vero quindi che fra gli oppositori si sono infiltrati gruppi di fondamentalisti islamici?
Certo! Ci sono guerriglieri che arrivano dal Pakistan, dall’Afghanistan, dall’Iran, dall’Irak dalla Libia e da altri Paesi. Alcuni addirittura sono venuti in Siria per liberare Gerusalemme, non sanno neanche dove ci troviamo. Da noi non si sta combattendo una guerra fra cristiani e musulmani, si tratta invece di un conflitto contro la violenza del fanatismo musulmano.

I rapporti fra cristiani e musulmani sono peggiorati a causa del conflitto?
No, i siriani non hanno perso la fiducia e la volontà di dialogare fra le diverse religioni. E’ da 1300 anni che viviamo insieme, non saranno certo due anni di guerra a dividerci. Quando il Beato Giovanni Paolo II ha visitato la Siria, nel 2001, il presidente Assad ha ricordato che la nostra terra è la culla del cristianesimo. Noi cristiani siamo arrivati in questa regione 600 anni prima dei musulmani, pur essendo diventati una minoranza però non abbiamo avuto difficoltà nella convivenza con i musulmani. Chiese e moschee venivano trattate alla pari, avevamo acqua e corrente elettrica gratis. Nei documenti dei siriani da oltre dieci anni non era più segnalata l’appartenenza religiosa. Se sparissero le armi e le ingerenze esterne, in due o tre mesi torneremmo alla pace che regna da secoli.

E allora, quali sono le origini del conflitto?
L’opposizione siriana voleva il superamento dell’articolo otto della Costituzione, che impone in partito unico. Le manifestazioni però sono state strumentalizzate fino ad arrivare alla situazione attuale, dove abbiamo gruppi esterni, legati ad al-Qaida, che combattono nel Paese, contro il governo

E la comunità internazionale, cosa dovrebbe fare per favorire la pace?
Smettere di garantire le armi a questi gruppi. I francesi, che hanno combattuto contro al-Qaida in Mali, la stanno appoggiando in Siria. Anche gli Stati Uniti da noi stanno aiutando gli stessi fondamentalisti che combattono altrove. Obama, premio Nobel per la Pace, ha un’occasione storica per aderire all’appello del Papa e promuovere la pace. Anche Benedetto XVI, quando ha visitato il Libano un anno fa ha rivolto un monito alla Siria, chiedendo che si smettesse di rifornire il nostro Paese di armamenti. L’appello di papa Francesco per la pace in Siria è in continuità con i richiami dei suoi predecessori. Oggi un futuro di pace per la Siria è legato a questi messaggi, gli unici che possono dare una speranza al nostro popolo.

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