«Cara Brittany, non suicidarti. Anche la tua sofferenza ha un senso». Lettera di Philip, seminarista di 30 anni con il cancro al cervello

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Ottobre 31, 2014 Philip Johnson

Brittany Maynard ha 29 anni, è malata di cancro al cervello, ha rimandato il suo suicidio ma vuole ancora l’eutanasia. Philip, malato terminale come lei, le scrive: «Piango e soffro come te ma non sono meno umano»

 

brittany-maynardBrittany Maynard ha cambiato idea e ha rinviato la data della sua morte. La giovane americana di 29 anni, malata di cancro al cervello da un anno e sposata da due, si è trasferita in Oregon per porre fine alla sua vita. Inizialmente, in un video diffuso su Youtube, aveva annunciato che si sarebbe uccisa il primo novembre, dopo aver festeggiato il compleanno del marito. Il messaggio è sponsorizzato dall’associazione pro eutanasia Compassion and Choice, con la quale Brittany ha organizzato una raccolta fondi per spingere tutti gli Stati americani a legalizzare l’eutanasia. Il primo video ha diviso l’America tra favorevoli e contrari, ieri la donna ha dichiarato in un altro filmato: «[Rinvio la decisione] perché mi sento ancora abbastanza bene. E ho ancora la gioia per ridere e scherzare con la mia famiglia e i miei amici. Ora non mi sembra il momento giusto, ma arriverà perché sento che sto peggiorando». Riportiamo di seguito ampi stralci della lettera pubblicata sul notiziario diocesano di Raleigh (Nord Dakota) da Philip Johnson, seminarista cattolico di 30 anni affetto da cancro al cervello come Brittany. Traduzione nostra.

brittany-maynard-eutanasia-rimandataLa scorsa settimana mi sono imbattuto nella straziante storia di Brittany Maynard (…). Mi ha davvero colpito perché mi hanno diagnosticato un cancro al cervello incurabile molto simile nel 2008 quando avevo 24 anni. (…) La media di sopravvivenza secondo la maggior parte degli studi è di 18 mesi, anche dopo chemioterapie e radioterapie aggressive. Avevo molte speranze e molti sogni che in un attimo sono sembrati svanire (…).

Mi hanno diagnosticato il cancro durante il mio secondo dispiegamento in Marina nel Golfo arabico del nord . (…) Ricordo che quando ho visto al computer le immagini del mio cervello sono andato nella cappella cattolica della mia base e sono caduto a terra piangendo. Ho chiesto a Dio: “Perché proprio io?”. Il giorno dopo sono tornato negli Stati Uniti per curarmi. Dopo alcuni mesi di radio e chemioterapia, ho lasciato la Marina e sono entrato in un seminario cattolico, vocazione che sentivo da quando avevo 19 anni. (…) Spero di diventare diacono in primavera e sacerdote tra un anno.

Philip-JohnsonHo vissuto sei anni di costante tumulto, crisi e tormenti. (…) Come Brittany, non voglio morire né voglio soffrire per le probabili conseguenze di questa malattia. Penso che nessuno voglia morire così. (…) Secondo i medici, perderò gradualmente il controllo delle mie funzioni corporee, potrei soffrire la paralisi e l’incontinenza, ed è molto probabile che le mie facoltà mentali si annebbieranno e mi porteranno ad avere le allucinazioni prima di morire. Questo mi terrorizza, ma non mi rende meno umano. La mia vita ha ancora un significato per me, per Dio, per la mia famiglia e i miei amici e salvo guarigioni miracolose continuerà ad avere un significato anche dopo che resterò paralizzato in un letto di ospedale. La mia famiglia e i miei amici mi amano per quello che sono, non solo per quei tratti della mia personalità che lentamente la malattia si porterà via.

Ovviamente, ho vissuto più di quanto mi sarei aspettato. (…) Ci sono stati momenti negli ultimi sei anni in cui ho desiderato che il cancro crescesse e mi uccidesse velocemente per allontanare la mia mente dalla sofferenza e dalla tristezza. (…) Ma dentro di me sapevo che questo approccio è inutile. La malattia è diventata parte di me e anche se non mi definisce come persona, ha cambiato ciò che sono e ciò che sarò.

brittany-maynard1Anch’io, come la madre di Brittany, all’inizio ho sperato nel miracolo. (…) Ora però capisco che “miracolo” non significa per forza guarigione immediata. Non moriremmo forse comunque più tardi per altri motivi? (…) Ogni giorno di vita è un dono e i doni possono essere tolti in ogni momento. Chiunque soffra di una malattia terminale lo sa molto bene. Sono sopravvissuto alle più ottimistiche previsioni, e penso che questa sia un miracolo, ma ho sperimentato innumerevoli miracoli in posti dove mai avrei immaginato di trovarli. Durante gli anni in seminario ho potuto stare vicino ai malati e ai sofferenti perché ero in grado di comprenderli. (…) Ho avuto la fortuna di servire a Lourdes gli infermi che si fidano di Dio con tutto il cuore per trovare un senso alle loro sofferenze. Entrando in rapporto con loro, ho ricevuto più di quanto ho dato.

Ho capito che la sofferenza fa parte della condizione umana e non deve essere sprecata o tagliata via per paura di perdere il controllo. Forse questo è il più grande miracolo che Dio mi ha fatto sperimentare. La sofferenza non è senza senso e non sta a noi prendere in mano le nostre vite. (…) La nostra sofferenza può avere un grande significato se proviamo a unirla alla Passione di Cristo e la offriamo per la conversione e le intenzioni degli altri. Anche se sono spaventose, le sofferenze che sperimenteremo nelle nostre vite possono essere mutuate in qualcosa di positivo. Questo è un compito molto difficile per me ma è raggiungibile.

(…) Il momento che vive Brittany è duro ma la sua scelta non è coraggiosa (…) perché nessuna diagnosi giustifica il suicidio. (…) È una tentazione comprensibile (…) ma porta a evitare un’importante realtà della vita. (…) Purtroppo, Brittany perderà i momenti più intimi della sua vita – i suoi cari che la consolano durante la sofferenza, i suoi ultimi momenti con loro e il grande mistero della morte – in cambio di un’opzione più veloce e “indolore”, più concentrata su se stessa che sugli altri.

A causa della mia malattia ho vissuto grandi momenti di sofferenza ma anche di gioia. (…) Continuerò a pregare per Brittany mentre combatte la sua malattia. Io continuo a essere triste. Continuo a piangere. Continuo a chiedere a Dio di mostrarmi la Sua volontà attraverso questa sofferenza e di permettermi di diventare il Suo prete, ma so che non sono solo nelle mie sofferenze. Ho la mia famiglia, i miei amici, e il sostegno di tutta la Chiesa. Ho camminato nella stessa situazione di Brittany, ma non ho mai camminato da solo. Questa è la bellezza della Chiesa. Possa Brittany capire che la amiamo prima che si suicidi e che se sceglie di combattere questa malattia, la sua vita e la sua testimonianza saranno un incredibile esempio per le innumerevoli persone che sono nella sua situazione. Sicuramente lo sarà per me, che continuo a combattere contro il mio cancro.

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