Il cammino verso l’unità passa per il Medio Oriente

15/09/2014 
   

Bartolomeo e Francesco al Santo Sepolcro nel maggio scorso

(©Lapresse)

(©LAPRESSE) BARTOLOMEO E FRANCESCO AL SANTO SEPOLCRO NEL MAGGIO SCORSO

Si riunisce a Amman la Commissione di dialogo teologico tra cattolici e ortodossi. Per cercare una linea condivisa su primato e sinodalità

GIANNI VALENTE
ROMA

Il dialogo per rimuovere gli ostacoli teologici che impediscono la piena comunione tra cattolici e ortodossi va avanti adagio, ma non si ferma. È questo il primo segnale che giunge da Amman, dove da oggi e fino a martedì 23 settembre si tiene la tredicesima riunione plenaria della Commissione mista internazionale per il dialogo teologico tra la Chiesa cattolica e la Chiesa ortodossa. A ospitare i delegati presso il Landmark Hotel della capitale giordana è stavolta il Patriarcato ortodosso di Gerusalemme. Dopo il lungo tempo trascorso dalla sessione precedente, svoltasi a Vienna nel 2010, l’organismo bilaterale prova a riprendere il filo fragile di una consultazione che da 8 anni vede i suoi membri – due rappresentanti per ognuna delle 14 Chiese ortodosse autocefale e altrettanti rappresentanti cattolici – ritrovarsi periodicamente per discutere sulla questione chiave del rapporto tra autorità e collegialità nella Chiesa. Lo scopo dichiarato della ricerca comune è verificare se esiste una definizione e una modalità di esercizio del primato del Vescovo di Roma che possa essere accettato anche dagli ortodossi. Il punto d’arrivo appare ancora lontano. Ma nel frattempo, negli ultimi quattro anni, alcune cose importanti sono cambiate: a Roma c’è un nuovo Papa; gli ortodossi hanno convocato per il 2016 il loro Santo e Grande Concilio, in incubazione da decenni; e in alcuni Paesi del Medio Oriente, compresi quelli confinanti con la Giordania, cattolici e ortodossi hanno di nuovo condiviso quello che Papa Francesco ha definito «l’ecumenismo del sangue», vissuto nelle situazioni di persecuzione dove «quelli che ammazzano i cristiani non ti chiedono la carta di identità e in quale chiesa tu sia stato battezzato».

A Amman, i lavori della commissione saranno ancora una volta co-presieduti dal cardinale Kurt Koch, presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani, e dal metropolita di Pergamo Ioannis  Zizioulas, del Patriarcato ecumenico di Costantinopoli. Dei cardinali membri dell’organismo, l’unico presente alla sessione sarà il prefetto della Congregazione per le Chiese orientali Leonardo Sandri.

Nei suoi ultimi anni di lavoro sulla questione spigolosa e inveterata del primato, l’unico testo approvato dalla Commissione – ma con la pesante dissociazione del Patriarcato russo – è stato il documento elaborato nella riunione di Ravenna del 2007, che aveva delineato il rapporto tra primato e conciliarità come «reciprocamente interdipendenti». A Amman sarà esaminata la bozza di nuovo documento, intitolato «Sinodalità e Primato», che nelle intenzioni degli estensori dovrebbe «offrire il quadro di riferimento nel quale affrontare, in seguito, la questione cruciale del ruolo del vescovo di Roma nella Chiesa universale». Si tratta di un testo di poche pagine, che di fatto ripropone e sviluppa punti focali già presenti nel Documento di Ravenna, e dove il rapporto tra primato e sinodalità nella vita della Chiesa – a livello locale, regionale e universale – viene affrontato con un taglio prettamente teologico, mettendo da parte le argomentazioni storiche e patristiche su cui ci si era di fatto impantanati – soprattutto per obiezioni provenienti dalla parte ortodossa – nella discussione del testo di lavoro proposto nelle precedenti sessioni plenarie di Cipro (2009) e Vienna (2010), focalizzato sul ruolo del Vescovo di Roma nella comunione della Chiesa nel Primo Milennio. Nel nuovo testo, il rapporto tra primato e sinodalità, tra il Primus e il corpo sinodale dei vescovi nella Chiesa viene riconsiderato in riferimento al suo fondamento teologico, cioè alla luce della Trinità stessa, dove l’unità della natura divina è comune a tre Persone. Già il documento di Ravenna, citando San Basilio, aveva richiamato il fatto che nella Chiesa la conciliarità «riflette il mistero trinitario e ha il suo fondamento ultimo in tale mistero».

La rimessa a punto di Amman tenterà di verificare di nuovo se esiste un consenso di fondo almeno sui termini teologici con cui conciliarità e primato erano stati delineati già nel documento di Ravenna, o se serve lavorare senza fretta sui “preliminari”, aspettando tempi più maturi per cercare un punto di compatibilità tra cattolici e ortodossi intorno al primato del Vescovo di Roma. Nella Dichiarazione congiunta sottoscritta a Gerusalemme lo scorso 25 maggio, Papa Francesco e il Patriarca Bartolomeo I hanno confermato il loro pieno appoggio allo strumento della Commissione teologica mista, definendo «sostanziale» il progresso verso l'unità realizzato grazie a un dialogo che «non cerca un minimo comune denominatore teologico sul quale raggiungere un compromesso, ma si basa piuttosto sull'approfondimento della verità tutta intera, che Cristo ha donato alla sua Chiesa». Nel contempo, nessuno nasconde le resistenze e gli ostacoli disseminati sulla road map della commissione soprattutto da parte ortodossa. A cominciare dal testo approvato dal Sinodo della Chiesa ortodossa russa alla fine del 2013 per ribadire la propria contrarietà al documento di Ravenna e a ogni idea di riconoscere al vescovo di Roma un primato che non sia solo “d'onore”.

Tra gli ortodossi, la possibilità di definire una linea comune con ricadute anche in campo ecumenico è rappresentata dal santo e grande Concilio convocato da Bartolomeo I per il 2016. Da quella grande assise ecclesiale si vedrà se nell'Ortodossia prevarranno le spinte alla chiusura identitaria e nazionalista – che sembrano prevalere in molte Chiese dell'est Europa – o un approccio in grado di approfittare anche dell’originale tratto ecumenico e pastorale del pontificato di Papa Bergoglio. «Gli ortodossi» ha raccontato il Patriarca Bartolomeo, nell’intervista pubblicata su Avvenire lo scorso 26 aprile «non percepiscono ora nell’istituzione papale nessun tratto di prepotenza, quella che in passato aveva molto ostacolato i rapporti tra cattolici e ortodossi. Pertanto, l’esempio di Papa Francesco pone su basi nuove l’intero cammino del dialogo ecumenico».

Probabilmente occorrerà aspettare il Concilio del 2016 per capire se tale percezione si diffonde e potrà avere effetti diretti anche sul dialogo teologico riguardo al primato. Intanto, in Vaticano viene valutato in maniera positiva che a ospitare la nuova sessione della Commissione mista sia il Patriarcato di Gerusalemme, un tempo tra i più ruvidi nei confronti della Chiesa cattolica. Nella capitale giordana, i lavori della Commissione teologica si terranno non lontano dalle situazioni di sofferenza e persecuzione vissute da tante comunità cristiane mediorientali nei tempi recenti. Il programma dei lavori prevede anche un incontro con profughi fuggiti dalla Siria. E il contatto con le vicende concrete dei cristiani dei Medio Oriente potrebbe fornire ispirazioni salutari ai lavori della commissione, riducendo il rischio di astrazione e di estraneità rispetto alle attese e alle sofferenze reali del Popolo di Dio.

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