Il Parroco di Gaza dal Papa: «In guerra pèrdono tutti»

1/09/2014 
 

 
Distruzioni a Gaza

(©Reuters)

(©REUTERS) DISTRUZIONI A GAZA

Padre Jorge Hernandez racconta a Vatican Insider l’incontro con il Vescovo di Roma

GIANNI VALENTE
CITTÀ DEL VATICANO

Padre Jorge Hernandez, argentino, parroco a Gaza, già non vede l’ora di tornare tra i suoi. Ha da raccontare a ognuno quello che gli ha detto (venerdì) papa Francesco, che lo ha ricevuto a Santa Marta. «Abbiamo parlato in argentino. Non ho tenuto il conto di quanto è durato l’incontro» confida a Vatican Insider il sacerdote missionario dell’Istituto del Verbo Incarnato. «Era così bello e consolante starlo a sentire, che non mi sono reso conto di quanto tempo siamo stati insieme».

In sintesi, il Papa cosa le ha detto?

«Ha incoraggiato me e tutti noi a essere il sale della terra lì a Gaza. In quella terra martoriata, dove Cristo stesso ha sofferto, è morto ed è risorto. E dove anche le sofferenze degli uomini e delle donne di oggi sono misteriosamente legate alla salvezza promessa da Cristo. Per me e per tutti noi è una grazia e una consolazione sapere che il Papa ha nel cuore le nostre vicende e prega per noi».

Lei cosa le ha raccontato?

«Non c’è stato bisogno di raccontare i fatti che tutti conoscono e di cui anche il Papa à ben al corrente. Lui già ci aveva mandato tempo fa un messaggio per esprimere la sua vicinanza, noi lo avevamo tradotto in arabo e fatto conoscere a tutta la comunità. Sono gesti che hanno un particolare effetto in momenti storici come quelli che stiamo vivendo, dove in certi posti del Medio Oriente sembra che la presenza stessa dei cristiani, dopo 2mila anni, possa venir meno».

Resta il fatto che, ancora una volta, Gaza è un cumulo di macerie.

«Abbiamo ancora una volta potuto vedere che nella guerra non ci sono vincitori, ma perdono sempre tutti. Presto o tardi, in un modo o nell’altro, da una parte e dall’altra tutti pagano il prezzo della violenza e dell’odio che la violenza partorisce».

È realistico credere che la tregua in corso possa reggere? E credere ancora in un futuro di pace, dopo quello che è successo?

«Noi speriamo che la tregua duri e siamo ancora convinti che la pace è possibile. Perché vediamo che tutti sono esausti della guerra. Ma la pace richiede apertura e disponibilità a rinunciare a qualche cosa. Soprattutto, la pace richiede giustizia. Finché non vengono garantite per tutti le condizioni elementari e basilari per vivere una vita degna, la pace è sempre a rischio».

Lei e l’altro sacerdote cattolico di Gaza siete stranieri. Potevate lasciare il Paese, e siete rimasti, insieme alle suore di Madre Teresa.

«Non facciamo niente di eroico. Nel dialogo coi nostri superiori abbiamo sempre avuto la massima libertà di decidere cosa fare, anche di andar via. Nessuno ci impone nulla. La nostra non è una scelta obbligata. Cerchiamo solo di vivere il Vangelo, dove è scritto anche che il pastore non abbandona il gregge quando c’è il pericolo, ma anzi è pronto a soffrire e dare la vita, come ha fatto Gesù per amore di ognuno di noi. Anche se il gregge è piccolo e inerme. Varrebbe la pena farlo anche solo per una sola persona. Così siamo rimasti insieme ai più disperati, a chi aveva perso tutto, anche i propri cari. Anche loro ce lo chiedevano, ci chiedevano di non lasciarli soli, di non andar via. Anche se noi non potevamo far altro che stare lì, e consolarli. I cristiani a Gaza su quasi 2 milioni di abitanti, sono meno di 1300. I cattolici sono solo 136.  E tra le vittime dei bombardamenti ci sono stati anche tre cristiani».

E i musulmani si sono accorti della vostra scelta di rimanere?

«Certo. Abbiamo aperto le nostre scuole e lì hanno trovato rifugio 1200 persone. In gran parte erano famiglie musulmane, che avevano perso tutto. In quei giorni, per tutti loro, la nostra piccola parrocchia è stata come un luogo di salvezza. Per questo abbiamo avuto riconoscimenti e attestazioni di stima anche dal governo locale».

E adesso? Cosa farete?

«Dobbiamo affrontare un dopoguerra difficile. Non so ancora come fare, non ho nessun piano. Si tratta di ricominciare da capo, un’altra volta. Valutando cosa fare passo dopo passo. La realtà stessa ci suggerirà come andare avanti. Di certo, il nostro compito sarà quello di curare le ferite. Consolando. Pregando che i cuori siano preso liberati dall’odio. E rendendo per sempre grazie ai tanti che in tutto il mondo ci sono stati vicini, ai tanti che hanno pregato per noi. A cominciare dai malati che offrivano le proprie sofferenze per noi di Gaza».

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