Usa, i vescovi in missione per i migranti

1/04/2014 

 

O'Malley e la comunione oltre il muro

O'MALLEY E LA COMUNIONE OLTRE IL MURO

La messa al confine con il Messico per denunciare, come Francesco, la globalizzazione dell’indifferenza. O’Malley: «Siamo venuti per piangere gli innumerevoli migranti»

PABLO LOMBÓ
ROMA

«Siamo qui oggi per essere vicini e trovare i nostri vicini in ognuna delle persone che soffrono e rischiano le loro vite e, a volte, le perdono nel deserto». Sono le parole pronunciate dal cardinale Sean O’Malley, arcivescovo di Boston, nell’omelia della Messa per i migranti nella città di Nogales, al confine con il Messico. Il vescovo di Tucson, Gerald F. Kicanas, ha offerto l’eucaristia (insieme a O'Malley) ai fedeli presenti dall’altra parte della barriera (realizzata come una cancellata) che divide i due Paesi.

A pochi giorni dell’incontro tra Papa Francesco e il presidente Usa, Barack Obama, durante il quale è stato affrontato anche il tema della riforma migratoria degli Stati Uniti, i vescovi a stelle e strisce hanno dunque fatto un’importante visita alla città di Nogales, al confine con il Messico, per ricordare i più di 6mila migranti che dal 1998 hanno perso la vita nel tentativo di conquistare un'esitenza migliore. Questa visita è un’iniziativa del Comitato migranti della Conferenza Episcopale degli Stati Uniti.

Seguendo i passi di Papa Francesco, pellegrino a Lampedusa, l’arcivescovo di Boston, cardinale Sean O’Malley, Eusebio Elizondo,vescovo ausiliare di Seattle, Gerald F. Kicanas, vescovo di Tucson, John C. Wester, vescovo di Salt Lake City, Mark Seltz, vescovo di El Paso, Óscar Cantú, vescovo di Las Cruces, Ricardo Martínez, vescovo emerito di Las Cruces, e Luis Zarama, ausiliare di Atlanta, sono stati questa mattina nella città di Nogales per richiamare l’attenzione sulla sofferenza umana provocata dalla migrazione, argomento a volte tralasciato nel dibattito nazionale. «Il confine tra gli Stati Uniti e il Messico è la nostra Lampedusa», aveva spiegato il vescovo Elizondo nella presentazione dell'evento. «Speriamo che, sottolineando i danni provocati dal sistema migratorio in queste persone,  nostri fratelli, gli ufficiali eletti comincino a riformarlo», aveva aggiunto.

Il cardinale O’Malley, uno degli otto consiglieri di Papa Bergoglio, ha cominciato la sua omelia oggi ricordando la propria esperienza con molti migranti in tutta l’America Latina nel “Centro Católico” di Washington D.C. «Siamo venuti nel deserto dell’Arizona per piangere gli innumerevoli migranti che rischiano la vita affidandola in mano a dei “coyotes” e sfidano le forze della natura per venire negli Stati Uniti. Ogni anno si trovano 400 corpi al confine, corpi di uomini, donne e bambini che cercano di entrare negli Stati Uniti. E sono solo quelli che si ritrovano», ha detto l’arcivescovo di Boston, che ha anche ricordato come «l’anno scorso circa 25.000 bambini, la maggior parte centroamericani, sono arrivati negli Stati Uniti senza la compagnia di un adulto. Decine di migliaia di famiglie frantumate dalle leggi sull’immigrazione. Più di 10 milioni di migranti senza documenti sono esposti allo sfruttamento e alla mancanza dei servizi essenziali, oltre al fatto di vivere costantemente nella paura. Loro contribuiscono –ha sottolineato O’Malley– alla nostra economia con il loro lavoro duro, a volte contribuendo con miliardi di dollari ogni anno per i fondi di sicurezza sociale e dei programmi medici ai quali non avranno mai accesso».

A Lampedusa, Papa Francesco aveva denunciato la «globalizzazione dell’indifferenza», parlando dei migranti che arrivano ai confini dell’Europa attraverso il Mediterraneo. Ricordando il gesto del Pontefice, il cardinale O’Malley ha ribadito che Francesco ha chiamato la Chiesa ad uscire «verso le periferie a cercare i nostri vicini nei luoghi della sofferenza e l’oscurità. Siamo qui per riscoprire la nostra identità come figli di Dio, e scoprire così chi sono i nostri vicini, chi sono i nostri fratelli e sorelle. Come nazione di immigrati, dovremmo sentire una certa identificazione con altri gruppi di migranti che cercano di entrare nel nostro paese». «Siamo qui oggi per essere vicini e trovare i nostri vicini in ognuna delle persone che soffrono e rischiano le loro vite e, a volte, le perdono nel deserto».

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